Con la febbre da 38 giorni, attende ancora il tampone: il calvario di un castanese

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CASTANO PRIMO – «A due mesi dall’inizio dell’emergenza regna ancora una grande confusione. Nessuno sa che cosa deve fare, a partire dai medici di base». A parlare è un castanese 35enne che da più di un mese accusa i sintomi del coronavirus, ma è ancora in attesa di fare il primo tampone. Nel frattempo, vive nell’incertezza di essere positivo al Covid-19 e non ha ancora intrapreso alcun percorso terapeutico. «Ho fatto una quantità di telefonate tra numeri verdi, ATS e medico di base – racconta a Malpensa24 – ma non ho ottenuto nulla. E chissà quanti si trovano nella mia stessa situazione».

«Situazione surreale, regna la confusione»

Il nostro interlocutore, che vuole rimanere anonimo, è lucido e posato. Ripercorre il suo calvario fatto di paura e d’incertezza senza far trasparire l’ansia che deve procurargli. «Sono un Sospetto Covid da 38 giorni: dal 16 marzo ho sintomi come tosse, febbre non molto alta, dissenteria, dolori muscolari. La febbre c’è sempre, gli altri sintomi vanno e vengono. Nella prima settimana credevo di avere una normale tosse, che mi trascinavo da tempo. Ho vissuto a stretto contatto con la mia compagna e nostro figlio, che non hanno mai avuto sintomi, e anche al lavoro, dove sono a contatto con 250 colleghi, nessuno ha avuto il contagio. Poi, dopo 2-3 settimane la situazione è peggiorata, ne ho parlato per telefono col medico di base e a Pasqua mi sono fatto segnalare all’ATS. Ma questa mi ha detto che non fanno il tampone se i sintomi sono lievi, si sente poco dolore e fino a quando non insorgono problemi nella respirazione». Per precauzione, l’uomo si è messo in malattia e vive su un piano separato da quello della compagna e del figlio di un anno. «Volevo capire che cos’ho e che cosa devo fare, ma non ho avuto risposte. Anzi, il medico ha chiesto a me quanti giorni di malattia doveva darmi. È surreale, ho dovuto dirgli io di segnalarmi all’ATS e mi ha risposto: se la contattano, me lo dica. Il giorno dopo è venuta la Polizia Locale a vedere se ero a casa, credevano che fossi positivo, ma non posso dire di esserlo perché non lo so».

«Come possono riaprire il 4 maggio?»

Per lo sfortunato castanese è cominciato un girotondo di telefonate ai numeri verdi per l’emergenza, a 112, 118, pure il sindaco: niente da fare. «Rimandano tutti al medico di base, che non sa come muoversi. Dopo due mesi, pensavo che in Lombardia, che è l’epicentro del contagio, fossero in grado di dare informazioni precise. Invece siamo lasciati al nostro destino. Dall’ATS di Milano ho avuto indicazioni discordanti: una centralinista del centro operativo mi ha detto che non possono fare nulla, un’altra mi ha inviato una email con il loro dominio da girare al mio medico di base perché la recapitasse all’ATS per chiedere di farmi il fare tampone. Ho dovuto dire io al medico anche di contattare le USCA, le unità mediche di emergenza». Insomma, sembra che l’assistenza sanitaria si muova a tentoni. «Il problema vero è che non ci sono abbastanza tamponi, ma non vogliono ammetterlo. Ma come possono pensare di riaprire il 4 maggio se ci sono persone come me che non hanno la certezza di non essere positive? Non capisco se è un fatto di trasparenza o di confusione che ancora vige nell’ambito sanitario. Intanto non posso lavorare e la mia compagna deve fare tutto da sola con un bimbo di 1 anno. Il solo aspetto positivo – conclude – è che questo lunedì è venuto il medico delle USCA e mi ha fatto un minimo di controlli: pressione, ossigenazione del sangue, respiro. È andata bene, l’ansia è un po’ diminuita, ma anche stavolta niente tampone perché per quello rimandano al medico. Che dice di non sapere come procedere. E sono da capo».

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