Governo, meglio tirare a campare che tirare le cuoia

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Matteo Renzi e Giuseppe Conte

Difficile sostenere che il governo giallorosso sia il massimo che ci potevamo aspettare: le sue lacune operative, secondo il parere di molti e per prova provata sul campo, sono il marchio di fabbrica (negativo) di questi ultimi mesi. Ma allo stesso tempo non si può dire che la scelta di Matteo Renzi di mandare all’aria l’esecutivo sia il massimo del tempismo. Al contrario, rappresenta una decisione che, per parere più o meno diffuso se non unanime, imbocca strade politiche tortuose, inesplorate e forse inesplorabili. Così che il futuro, proprio nel mezzo della pandemia e dei suoi terribili effetti sanitari ed economici, si annunci carico di incognite.

La via d’uscita più logica, alla luce del ginepraio romano di queste ore, sono le urne. Le elezioni, ultima ratio di una situazione che il Paese avrebbe davvero evitato in questo momento. Non solo o non tanto per dribblare il disagio delle cancellerie europee e dell’Europa stessa nei nostri confronti, quanto per girare alla larga da questioni politiche inappropriate rispetto alla gestione di ben altri problemi. Agli occhi del mondo siamo inaffidabili. Punto.

Detto questo, una soluzione bisognerà pur trovarla, possibilmente alla svelta per non finire in un vortice devastante a ogni livello. Specialmente per tutti noi cittadini. Nel tentativo di scongiurare più pesanti sfracelli prende piede il ricorso ai cosiddetti “responsabili” o “costruttori”, senatori e deputati senza appartenenze precise che potrebbero rendersi disponibili a sostituirsi agli eponenti di Italia Viva, garantendo una maggioranza. Nuovi Scilipoti (lo ricordate ai tempi del Berlusca premier?) sospinti da un afflato di “nobiltà politica”, che nulla avrebbe a che fare con l’italico trasformismo. Ci credete? Per crederci bisognerebbe essere un po’ gonzi. L’obiettivo è numerico, non politico. Conte va alla conta (scusate il gioco di parole) in Parlamento sulla scorta di voti raccolti alla spicciolata, uno qui un altro là, in modo da agguantare consensi sufficienti a tenere in sella il governo e tagliare definitivamente fuori Matteo Renzi e i suoi.

Il presidente del Consiglio, del resto, è uno di bocca buona: ha fatto pappa e ciccia con Salvini, ha fatto il bis con Zingaretti, ora può tranquillamente accomodarsi al fianco di chiunque gli consenta di continuare a governare. O a comandare, a seconda delle prospettive da cui si esprimono opinioni e giudizi. Suoi mentori ideologici, cultori dell’opportunismo parlamentare, personalità ripescate dal passato, sono Clemente Mastella e Bruno Tabacci, due con solide radici democristiane nella mai dissolta Prima Repubblica. Chi invoca le urne può aspettare. Sempre che le cose vadano come nelle intenzioni di chi invece preferisce rimanere al proprio posto, consapevole che nell’eventualità di elezioni anticipate non tornerebbe più a Palazzo. Indimenticabile la motivazione di Antonio Razzi, un altro fenomeno dei voltagabbana: “Dodicimila euro al mese, fuori da lì chi te li dà?”. E allora, nonostante Matteo Salvini strepiti contro il nuovo, possibile e probabile “governo minestrone”, l’alleanza giallorossa sceglierà di tirare a campare. Per dirla con Giulio Andreotti, sempre meglio che tirare le cuoia.

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