Crediti sanitari, cinque indagati. C’è anche il broker arrestato per i fondi Vaticani

milano crediti sanitari

MILANO – C’è anche il broker molisano Gianluigi Torzi, che fu arrestato per il caso dell’acquisto di un palazzo a Londra con fondi del Vaticano, tra i cinque indagati nell’inchiesta della Procura di MIlano che ha portato la Guardia di Finanza a effettuare perquisizioni per una presunta truffa da un miliardo di euro su “operazioni di cartolarizzazione di crediti cosiddetti sanitari”. Torzi, già indagato nel fascicolo sulla presunta truffa da 15 milioni di euro alla storica società di mutuo soccorso ‘Cesare Pozzo’ (da cui nasce questo nuovo filone d’inchiesta), è accusato di associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata e corruzione tra privati.

Al centro dell’inchiesta del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, coordinata dall’aggiunto Romanelli e dai pm Barilli e Scalas – rendo noto l’Ansa – ci sarebbe il cosiddetto ‘gruppo Torzi’, ossia la ‘piattaforma’ societaria attraverso la quale il broker avrebbe acquistato crediti sanitari, che imprese del settore vantavano nei confronti di Asl calabresi, campane e laziali. In particolare, con operazioni di “cartolarizzazione” avrebbe fatto investire su quei crediti una serie di “investitori istituzionali”. Un meccanismo simile a quello del presunto maxi raggiro ai danni della ‘Cesare Pozzo’.

Ora inquirenti e investigatori dovranno ricostruire ogni singola operazione per capire se la ‘piattaforma Torzi’ sia riuscita a mettere a segno anche un’altra maxi truffa su quei crediti sanitari per un valore nominale di circa un miliardo. Le imprese sanitarie che vantavano i crediti sulle Asl, stando a quanto ricostruito, presentavano profili di criticita’ “sia fiscale che economico-finanziaria” e li avrebbero ceduti al gruppo Torzi, con uno schema che ricalca quello dei cosiddetti “mafia bond”. A sua volta, il broker per acquistare quei crediti avrebbe reperito le risorse sul mercato da investitori istituzionali, che si aspettavano di riavere indietro capitale e interessi. I crediti sanitari, che una volta riscossi dovevano servire a liquidare gli investitori, erano, però, in gran parte “inesigibili”, perché le imprese del settore che li vantavano avevano realizzato delle prestazioni “extra badget” e quindi le Asl non le potevano rimborsare.

Con questo schema, in pratica, avrebbero guadagnato sia le imprese sanitarie, cedendo i crediti, che il gruppo Torzi, mentre le risorse versate dagli investitori che si aspettavano dei guadagni sarebbero andate ‘in fumo’. Torzi è accusato anche di corruzione tra privati perché avrebbe versato soldi, secondo l’accusa, al manager di un noto gruppo, il quale a sua volta avrebbe convinto la sua impresa ad investire nella ‘piattaforma Torzi’.

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