Horror, distopia e scrittura fuorilegge: i nuovi racconti di Davide Gagliardi

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Davide Gagliardi

VARESE – «Anche “Ballata incompiuta per un topolino” ha preso la forma di un racconto. Ultimamente ho visto che riesco a lavorare meglio su storie brevi: per me è meglio perché finisco il progetto più rapidamente rispetto a dei libri ipertrofici e, per l’attenzione richiesta, anche per il lettore». Così Davide Gagliardi, scrittore di Varese che ha firmato nove romanzi tra cui “King George” e “Zombie nation”, ha parlato della nuova veste data alle sue ultime uscite e dell’«infrazione del fatto narrativo».

Convivere con un’entità estranea

Mentre la “Ballata” è stata pubblicata ad agosto, ad aprile l’ha preceduta “Il tentacolo”, «un racconto dai toni horror e fantastici ma senza tutti i cliché del caso: cerco di discostarmi dal genere mainstream. A darmi l’ispirazione è stato un maglione indossato in una giornata di gennaio, che aveva cominciato a darmi prurito su un braccio: ho allora immaginato un’entità estranea – un tentacolo – che da lì si muoveva e bramava il mondo, e quali potessero essere i rapporti di una persona con un essere senziente di questo tipo che mostri pretese, voglia fare delle cose e ne stravolga la vita. Per descriverli ho preso come riferimento le fasi del lutto (negazione, rabbia, depressione e compromesso)».

“Il tentacolo”

La macchina dei bestseller

“Ballata incompiuta per un topolino” affronterà invece il tema delle società del futuro e del controllo sulle persone che, portato all’eccesso, crea storture. «La vicenda è ambientata in una distopia in cui gli scrittori sono messi fuorilegge: salvo i casi in cui si tratti di intoccabili, vengono uccisi perché c’è una macchina che è stata programmata per scrivere dei bestseller, e quindi si occupa lei di tutto. Ma a un certo punto si incanta, senza andare più avanti né indietro, e c’è l’attesa per un libro che, in qualche modo, dovrà uscire. Si scopre che c’è uno scrittore, tra quelli superstiti, al lavoro sulla stessa storia e anche lui in blocco narrativo. Viene allora contattato il killer che si occupa di eliminarli, e informato che l’obiettivo in questione è la loro ultima risorsa: non dovrà più ucciderlo ma, quando andrà da lui, fare in modo che porti avanti la storia».

“Ballata incompiuta per un topolino”

Scatole cinesi che non collimano

Tra le letture più amate da Dado ci sono Fëdor Dostoevskij, Robert E. Howard, Jack Kerouac «e anche tanta saggistica. Il genere in cui di solito preferisco cimentarmi si può considerare fantastico ma il meccanismo che metto in azione è quello di cambiare il genere stesso all’interno del racconto, cioè trasformarlo in qualcos’altro. Quando succede il lettore è obbligato a confrontarsi con ciò che sta leggendo perché viene sbalzato in un’altra zona, che deve essere ancora delimitata. “Una mattina d’inverno, un fumatore” funziona con un’infrazione continua del fatto narrativo che richiama l’idea del “Manoscritto trovato a Saragozza” di Jan Potocki: il protagonista, sebbene sia stato presente dall’inizio, in realtà entra in scena a pagina 150. Un altro mio romanzo, “Orlandino”, si basa su un’idea di scatole cinesi che non collimano: come un sistema di matrioske che sono stata lavorate male e quindi, quando vengono inserite l’una nell’altra, non entrano proprio alla perfezione».

“Orlandino”

Finzione e attrito

Come ha spiegato Gagliardi, che ha iniziato a scrivere nei primi anni Novanta quando frequentava il liceo scientifico di Varese, la scelta di infrangere continuamente il fatto narrativo «è una delle mie proiezioni su quello che deve fare la letteratura. La vita è un casino e la letteratura deve descrivere la vita, ricordando che le cose non vanno mai perfettamente a posto. Altrimenti si rimane nell’ambito della finzione più becera; invece deve esserci l’attrito, il contrasto».
Tra le prossime uscite dell’autore, che finora ha pubblicato in digitale per Kindle «al prezzo di un caffè», c’è “Il gioco delle parti” (titolo provvisorio) ispirato agli eroi dei cartoni animati giapponesi e al loro lato oscuro: «Ciò che mi spinge a scrivere è innanzitutto “una specie di magia”, come dicevano i Queen: all’inizio c’è solo una pagina bianca e alla fine ce ne sono cento vergate. E poi, per come vivo io la scrittura, è come se vedessi ciò che sento messo in atto da personaggi inventati: un mezzo per presentare il mio modo di essere che, anno per anno, decade per decade, passa attraverso la carta cercando di cristallizzarsi nelle storie».

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