Guerra in Ucraina e crisi alimentare

OLTRE 200 MILIONI DI PERSONE NELLA MORSA DELLA FAME

di Alessandro Belviso

Kiev e Mosca rappresentano il settimo e terzo produttore ed esportatore di cereali a livello mondiale e il conflitto ha rallentato, ed in alcuni casi interrotto, la filiera di produzione. Per capire quali sono i Paesi più a rischio, basti pensare che sono una cinquantina gli stati che dipendono dal grano russo o ucraino per oltre il 30% delle importazioni totali. Di questi, Bangladesh, Turchia, Iran ed Egitto sono i più esposti, poiché acquistano il 60% del loro fabbisogno di cereali dai due Paesi in guerra. L’impossibilità all’accesso dei beni alimentari primari in questi territori potrebbe provocare anche tensioni sociali, e di riflesso politiche, che cambierebbero gli equilibri internazionali.

Gli scontri armati in Donbass, uniti ai bombardamenti, hanno costretto molti agricoltori ucraini – quasi uno su tre e in alcune aree uno su due – a non seminare i propri campi, riducendo drasticamente la produzione, secondo uno studio del Ministero dell’agricoltura di Kiev. Le sanzioni verso la Russia non si sono limitate alla sola esportazione agricola, ma anche a quella dei fertilizzanti. In questo settore Mosca è il primo produttore al mondo e le tecniche di sfruttamento intensivo dei terreni necessitano di tali prodotti. Inoltre l’esplosione dei prezzi del carburante (sempre dovuta alle sanzioni) non favorisce il movimento delle merci su lunga distanza. Fattori di shock, che favoriscono le speculazioni finanziarie.

La Banca Mondiale ha stimato che l’aumento di un punto di percentuale del prezzo di queste merci porta 10 milioni di persone alla povertà assoluta. E le tariffe sono inesorabilmente aumentate: nel marzo scorso si è arrivati al record di 1.294 dollari per 5000 bushel (unità di misura dei cereali), pari a 127 tonnellate, alla borsa di Chicago. Poi il costo si è ridotto, ma ad oggi supera comunque i 780 dollari. A causa di tutto ciò oltre 40 milioni di persone rischiano la fame in Africa Centrale ed Occidentale, secondo i dati della FAO, e 180 milioni nel resto del mondo. Per evitare ulteriori peggioramenti, la Turchia guidata da Erdogan ha avviato, a partire da maggio, dei colloqui con Ucraina e Russia (con supervisione ONU) per sbloccare le navi cariche di prodotti agricoli ferme nel porto di Odessa. Lo scorso 23 luglio si è raggiunto un accordo della durata di 120 giorni. Questo permette il movimento verso i paesi più bisognosi di 22 milioni di tonnellate di derrate alimentari. La mediazione di Ankara è stata decisiva e nel giro di alcune settimane i carichi dovrebbero arrivare a destinazione.