L’addio di Canola: “Avrei voluto chiudere diversamente, ma resterò nel ciclismo”

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Marco Canola è stato il volto della lotta all’UCI quando lui e tutta la Gazprom-Rusvelo sono rimasti a piedi, senza certezza alcuna di quello che avrebbe riservato loro il futuro. A più di 6 mesi di distanza da quegli eventi e dalla sua ultima presenza in gruppo, il vicentino si è visto costretto a prendere una decisione che avrebbe volentieri preso più avanti.

«Ho sperato arrivasse qualche offerta, ho sperato di poter essere ancora un corridore professionista, ma purtroppo non si è concretizzato nulla e, a questo punto, è giusto pensare ad altro – ammette Canola -. È una scelta obbligata, avevo ancora qualcosa da dare al professionismo, se non in termini di risultati quantomeno in esperienza e supporto ai miei compagni, ma la realtà è questa e va accettata».

Il 33enne di Lerino (ne farà 34 il giorno di Santo Stefano) ha indossato in carriera la maglia di Bardiani-CSF, Unitedhealthcare, Nippo Vini Fantini e Gazprom-Rusvelo, per un totale di 9 vittorie da professionista – quella di Rivarolo Canavese al Giro d’Italia la più prestigiosa – e tanto lavoro per i compagni, che lo hanno reso un atleta apprezzato e riconosciuto in tutto il gruppo. Anche in questi mesi travagliati, Canola si è messo a disposizione dei compagni: «L’anno era partito con buoni presupposti dopo una stagione non buonissima – racconta ancora -. Stavo bene, ero spesso davanti, ma poi è scoppiata la guerra e la squadra è stata smantellata. A quel punto non me la sentivo di chiedere spazio in un’altra squadra e magari di togliere un posto ad un giovane, d’altronde vado verso i 34 anni. Ho preferito che venisse data l’opportunità di correre ai miei compagni della Gazprom che invece hanno buona parte della carriera davanti. So che questa mia premura l’hanno apprezzata molto e per me è motivo d’orgoglio, anche se sapevo che, rimanendo in disparte, avrei rischiato seriamente di finire la carriera».

In effetti, l’ex Bardiani ha fatto pochissime apparizioni con la maglia della Nazionale, a differenza degli altri italiani in uscita dalla Gazprom, è l’unico che non ha trovato una sistemazione per gli ultimi mesi della stagione e da fine marzo in poi ha corso solamente il Campionato Italiano, più per onore di firma che per interesse vero e proprio. «In quei mesi ho voluto approfondire anche il lato del fuoristrada del ciclismo, ho usato molto la MTB e fatto qualche gara, giusto per il piacere di fare qualcosa di diverso e ampliare il mio bagaglio di conoscenze su questo mondo. Nel mentre mi sono anche unito a Destination Sport Experiences, in cui ho fatto da tour operator in qualche cycling tour in giro per l’Italia. Tutte esperienze formative».

Per quanto ormai si sia messo il cuore in pace, l’atteggiamento dell’UCI per il quale ha tanto combattuto la scorsa primavera rimane un tasto dolente. «L’UCI ha preso una decisione pesante, quasi da regime dittatoriale, ovvero quella di abbandonare totalmente alcuni suoi corridori – afferma Marco -. E non penso sia il modo giusto di comportarsi per una federazione internazionale. Io credo che avremmo dovuto fare maggiormente fronte comune, tra noi atleti, squadre, federazioni nazionali e anche stampa, protestare, farci sentire, invece ognuno ha pensato maggiormente ai suoi interessi. Ma quello che è capitato a noi quest’anno, in futuro potrebbe capitare a qualcun’altro e abbiamo capito che l’UCI è pronta a disinteressarsene completamente. La cosa che fa più male è che in 11 anni di professionismo credo di essere stato un buon ambasciatore di questo sport, ho cercato di trasmettere i valori di un ciclismo sano e pulito, ed essere stato abbandonato così da chi ti dovrebbe rappresentare non è stato piacevole».

Canola però ha tante idee, il suo nuovo cammino è appena cominciato. Tutte le cose apprese in questi anni e le persone conosciute torneranno utili per plasmare il suo futuro: «Mi sarebbe piaciuto pianificare con più calma il mio ritiro, invece in fretta e furia mi sono visto costretto a trovare un’alternativa. Sicuramente voglio rimanere legato al mondo della bicicletta, che sia quello professionistico o del cicloturismo devo ancora capirlo. Intanto sto facendo il corso da direttore sportivo, ho preso contatti con varie aziende del settore e sto anche riflettendo se può valere la pena aprire un’attività in proprio. L’esperienza che ho accumulato in questi anni è tanta, mi piace lavorare di squadra, curare il rapporto con le persone e creare contatti. Voglio mettermi a disposizione, ma finché non ho qualcosa di concreto non voglio espormi troppo”.

Articolo a cura di Tuttobiciweb.it

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