L’imprenditoria che guarda al presente ma pensa al futuro

visconti assemblea univa

di Federico Visconti*

Ci mancava la guerra! Ci mancava la crisi energetica! Lunedì mattina, entrando nel foyer di Malpensa Fiere, pensavo questo. E presumo che molti dei presenti facessero lo stesso. La grande famiglia degli imprenditori è ormai da anni esposta a tensioni tali che la cronaca fatica a raccontarle e la gente a ricordarle. Un esempio dalla trincea settembrina. Azienda plastica, con una trentina di dipendenti. Luglio 2021: bolletta elettrica di 20.000 euro. Luglio 2022, bolletta di 80.000 euro, largo circa quanto l’imprenditore mette mensilmente nelle buste paga dei suoi dipendenti. C’è poco da commentare. C’è ancor meno da pontificare, anche per chi lo fa di mestiere come i professori di management. Vale soltanto quello che ha detto il Presidente Bonomi: “C’è un limite ai miracoli che possiamo compiere”.

E qui viene il bello: perché parlare di Piano Strategico al 2050? Perché porsi un orizzonte trentennale quando non si ha visibilità sul portafoglio ordini, le materie prime sono disperse al fronte e l’inflazione morde alle calcagna? Perché guardare lontano quando il vortice degli eventi non supera la settimana? Tre risposte di getto.

La prima, con le parole del Presidente Grassi: “Per quei quasi 6 milioni di giovani italiani che oggi hanno tra i 15 e i 24 anni e che nel 2058 avranno tra 51 e 60 anni. Di questi, circa 84.000 sono giovani del nostro territorio”.

La seconda, per dar seguito a una tesi cara a Tommaso Padoa Schioppa, che nel lontano 2009 scriveva: “Si è accorciato l’orizzonte temporale dei mercati, dei governi, della comunicazione, …… dei nostri atteggiamenti mentali. E’ in questa “veduta corta”, in questa incapacità di andare oltre il calcolo di breve periodo e di guardare il futuro lungo che sta la radice più profonda della crisi in atto”. Detto in poche parole: con vista sull’ombelico non si va da nessuna parte. Valeva allora, adesso vale di più.

La terza, drammaticamente semplice: perché i bravi imprenditori gestiscono il presente tanto quanto costruiscono il futuro. Presidiano le attività correnti mentre mettono mano a quelle di set up. Sono strabici, con un occhio friggono il pesce e con l’altro guardano il gatto. Con il pomposo linguaggio harvardiano: perseguono strategie duali, quelle dell’oggi insieme a quelle del domani.

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Federico Visconti

Tutte buone ragioni per costruire una “cornice visionaria” come quella illustrata in Assemblea. Una cornice che mette in fila delle evidenze, apre a dei confronti, stimola la progettualità.

Quanto alle evidenze, concentro l’attenzione sulla “dialettica” punti di forza e di debolezza del territorio. Che i toni non siano stati autocelebrativi è una nota di merito. Che ci sia molto su cui lavorare è una grande opportunità. Pagina 11 della relazione, si parla di una provincia “ricca ma disomogenea nella sua capacità di generare benessere, …. poco innovatrice, almeno rispetto al suo potenziale, ….. polarizzata e schiacciata da due diverse identità, l’area metropolitana milanese da un lato e il Canton Ticino dall’altra ……..”. Pagina 14, si dice che “Varese emerge come un territorio a forte rischio di immobilismo”.

Quanto all’apertura al confronto (quanto bisogno ne abbiamo!!!!), considero prezioso l’intervento di Mari Aranguren sull’esperienza dei Paesi Baschi. La tentazione del “noi siamo diversi” è forte e per certi aspetti fondata. Ma quanti stimoli sono emersi a livello di formulazione di obiettivi di sviluppo economico e dunque sociale, di strumenti di intervento, di risultati, di correzioni di rotta …? Una battuta su due parole chiave: distributed leadership. Chimera? Sogno di una notte di mezza estate? Nel Paese dei Guelfi e dei Ghibellini, in un territorio storicamente segnato dalle differenze tra Varese, Gallarate e Busto …. la prima risposta è sì. Anche su questo c’è da lavorare.

Quanto alla progettualità, le cinque linee d’azione illustrate bastano sul piano delle idee e rischiano di avanzare sul piano della fattibilità. Non perché le idee non siano di valore ma perché l’Italia quanto a execution si ispira da secoli al Gattopardo. A volte reagiamo come per la ricostruzione del ponte Morandi, più spesso teniamo il passo della Sdalerno-Reggio Calabria. E poiché come giustamente ha osservato Grassi, gli imprenditori da soli non possono farcela….ce n’è per tutti gli stakeholders, regione basca docet. Di certo ce n’è per la LIUC, che guarda al progetto MILL come a una grande opportunità di crescita, da cogliere valorizzando il potenziale sinergico sul piano della ricerca e delle relazioni con le imprese, delle infrastrutture e dell’identità di campus.

Concludo con una provocazione, parafrasando le società di rating. In Assemblea ho avuto l’ennesima conferma che viviamo tempi da triplete, non però quello ormai lontano dell’Inter di Mourinho. La prima, a base “i”, da potenziare: investire, investire, investire. La seconda, a base “r”, da abbattere: rendite, rendite, rendite. Corollario: più meritocrazia, meno mediocrità.

*Rettore Liuc Università Cattaneo