Che se ne andasse Ita. Non solo da Malpensa, anche dalle nostre tasche

Malpensa ita airways Scapellato

di Giombattista Scapellato*

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Gianni Scapellato

Quindi alla fine è volata via. Da Malpensa. Dal giorno 8 gennaio 2024 ITA ha abbandonato una delle tratte più redditizie che dallo scalo della Brughiera alimentano gli Stati Uniti, New York in particolare. Restano però ad operare, con voli non-stop (cioè voli senza scalo intermedio) altre compagnie aeree, quali l’italiana NEOS, le statunitensi American Airlines, United Airlines, Delta Airlines, la francese La Compagnie e, per ultima, Emirates che è di Dubai. Oltre a questi voli non-stop, tutte le altre compagnie aeree (tranne le Low Cost) continuano ad operare da Malpensa una miriade di voli diretti per New York (voli con scali intermedi nei loro rispettivi Hub ma sempre della stessa compagnia). A puro titolo ricognitivo la francese Air France, la tedesca Lufthansa, l’inglese British, la spagnola Iberia, la portoghese TAP, l’olandese KLM, la svizzera Swiss, e anche la turca Turkish. E altre ancora. Imbarcano passeggeri a Milano per i loro Hub e da lì in transito sui loro voli intercontinentali per New York. Come mai queste compagnie aeree riescono dove ITA ha fallito?

È questione di tariffe offerte e di saperle vendere. Se ITA non sa vendere o non vuole vendere da Malpensa è affar suo.  È invece affar nostro che ITA, che non sa vendere o non vuole vendere, è pagata da tutti noi. La tragedia non è l’abbandono di Malpensa. L’aeroporto di Malpensa continua a operare indipendentemente da questo singolo volo. La tragedia è che le perdite costanti di ITA sin dalla sua nascita sono interamente sopportate da noi cittadini con le nostre tasse e imposte e tributi. Si dice che però ITA resta a Linate. E questa se non è una bugia, è una falsa rappresentazione della realtà. Perché ITA lascia Malpensa e si tiene stretta Linate? Da Linate le operazioni sono limitate. Non solo per la lunghezza dell’unica pista, circa 2500 metri invece delle due di Malpensa di circa 4000 metri ciascuna. Non solo per la capacità del sistema antincendio dei Vigili del Fuoco, che a Malpensa sono organizzati nella massima categoria consentendo voli con aerei di grandi dimensioni, mentre a Linate questi aerei non possono operare per la ridotta capacità estinguente. Non solo perché una normativa retrograda impedisce collegamenti diretti con territori extra comunitari (in parte). Anche per tutto questo, certo. Ma soprattutto perché ITA è ancora titolare delle clearances, o slot come nella terminologia ricorrente, che le consentono di operare da Linate nelle fasce orarie più redditizie saturandone il numero e impedendo ad altre compagnie di subentrare.

Slot di Chi? Di Alitalia, la ex compagnia aerea roboantemente chiamata di Bandiera, oggi in liquidazione. Ma l’UE non aveva chiesto allo Stato Italiano di non dare continuità nel passaggio e nell’ulteriore finanziamento pubblico fra Alitalia e ITA? Si. E allora perché i dipendenti non sono transitati mentre gli slot sì? Perché i dipendenti sono un costo e col negato transito si è dimostrata la non continuità. Gli slot invece sono un valore, tanto valore. E se anche sono transitati da Alitalia a ITA, tutti hanno apposto spesse fette di salame davanti agli occhi per non vedere. In Italia e in Europa. Cosicché l’acquirente di ITA si trova che cosa? Una compagnia piccola, un solo Hub, Fiumicino, destinato a voli di non certo enorme interesse (tratte verso l’Africa, l’Asia e l’America Latina con destinazioni verso Ho Chi Minh City, Kathmandu, Accra e Asunción, oltre quelle per il Nord America).

Ma un aeroporto invece, quello di Linate, con un paniere strategico di slot utilizzabili per alimentare, dalla città di Milano, i propri voli attraverso scali intermedi dei suoi aeroporti verso il Mondo. Perché il business è a Milano, non certo in Brughiera. Si capisce meglio, raccontato così, perché ancora non si diversifica il costo di Linate rispetto a Malpensa. Sui capisce meglio, raccontato così, l’interesse ad acquistare ITA. Resta da capire se il gioco ne valga la candela. Parrebbe che il forte rallentamento della transazione fra Lufthansa e ITA probabilmente possa esser frutto di questa riflessione.

Di questi giorni è l’enfatica notizia, data da Corriere.it, che Alitalia, la compagnia in liquidazione, tramite i suoi tre Commissari Liquidatori ha rimborsato allo Stato ben 100 milioni di euro. Detta così è una meraviglia. Ma è meravigliosa questa notizia? No. Essa è solo la restituzione di una minima parte del debito di Alitalia verso lo Stato. 100 milioni di euro a petto di un debito complessivo ancora da restituire pari a 1,3 miliardi di euro, oltre interessi, come lo stesso Corriere.it indica nell’articolo. Visto che il debito residuo è pari a 1.300 milioni di euro oltre i 100 restituiti, sarebbe come se ognuno di noi fosse felice sol perché, dopo aver prestato a un tizio 1.400 euro, costui dopo molto tempo ce ne abbia restituito solo 100. Restituire il debito non è una buona azione.

Non è un plauso e non è un giubilo. È un obbligo e un dovere! Questo piatto di lenticchie non innalza il vettore Alitalia, in liquidazione, al punto da ringraziare i tre Commissari. Non dobbiamo ringraziare nessuno, Noi. Neanche se i tre Commissari Liquidatori restituissero per intero tutti i nostri soldi sperperati e bruciati. E ancor peggio, inutilizzati per lo scopo per cui ci sono stati sottratti. La giustificazione di salvare questo vettore aereo. Che non si è salvato. Se c’è una continuità morale fra Alitalia e ITA, è quella di essere entrambe macchine mangiasoldi per nulla in cambio. Nel frattempo soffriamo tagli alla sanità, ai servizi, alle pensioni e un qualche aumento di IVA, di tariffe e di interessi che incidono su tutti noi. Perché dovremmo mai plaudire e gioire? Che se ne andasse ITA. Ma non solo da Malpensa. Dalle nostre tasche, soprattutto!

*esperto di aeronautica, già direttore di Malpensa

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