Masnago, 45 anni fa la notte del disonore

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7 marzo 1979, l'indegna gazzarra antisemita al Palasport di Varese gettò il disonore sull'intera città

Palasport di Masnago, squadre già in campo per il riscaldamento, sulla gradinata nord spuntano croci di legno, finti teschi, striscioni antisemiti, polli verniciati di bianco e azzurro. E si levano cori inneggianti a Hitler, a Mauthausen, allo sterminio degli ebrei. L’inviato della tivù israeliana chiede ai cronisti varesini di tradurre le scritte: gli vengono i goccioloni agli occhi. Ma svaporano subito nella bolgia della partitissima di Coppa dei Campioni, Emerson-Maccabi Tel Aviv. Nessuno reagisce alla gazzarra, né in campo né fuori. Non i dirigenti, gli allenatori, i giocatori, gli arbitri, la giuria: badano al parquet anziché alle tribune. Non le forze dell’ordine: si limitano a controllare la situazione. Vengono sequestrate le croci, pericolosi corpi contundenti.

Lo scandalo monta quando l’eco della gazzarra fa il giro d’Italia, d’Europa, del mondo, sospinto dalle proteste della collettività ebraica di Milano, che si costituirà parte civile nel processo infine intentato -con l’accusa d’apologia di genocidio- a una decina degli sventurati protagonisti del macabro show. Finisce con l’improcedibilità verso alcuni minorenni, la condanna d’altri cinque o sei compagni d’obbrobrio e il risarcimento di quasi 14 milioni all’Unione delle comunità israelitiche d’Italia. Servirà a pagare un viaggio d’istruzione/memoria a Dachau di 34 studenti.

È la sera del 7 marzo ’79, quarantacinque anni fa. Tempi in cui episodi simili avvenivano con frequenza. Proprio pochi giorni prima, nel derby calcistico Juve-Toro, una frangia dei tifosi bianconeri aveva esaltato la tragedia di Superga. Senza che nulla d’immediata indignazione accadesse. Come nulla d’immediata indignazione accade al “Lino Oldrini”. Si gioca regolarmente, vince l’Emerson con Rusconi neo-allenatore in panchina e senza Meneghin (braccio fratturato) in campo. 71-53 alla fine, Morse-Yelverton-Ossola affiancati dalla nouvelle vague Gualco-Carraria-Gergati. Il racconto televisivo del celebre Aldo Giordani s’incentra sul gioco e basta. Idem il commento di Sandro Gamba, ex coach dell’Ignis.

Il riflesso dell’indegnità pubblica scatta all’indomani: diventa chiaro a tutti che Varese s’è macchiata d’una colpa rimediabile solo/forse col passare del tempo, i provvedimenti giudiziari, la consapevolezza sociale-civile-morale: niente e mai, neppure nelle grevi iperboli del tifo sportivo, può travalicare limiti proibiti. Finiamo al centro di cronache e commenti nazionali/internazionali, compresa l’interrogazione parlamentare dell’onorevole comunista Quercioli. Una gogna mediatica durata a lungo. Un danno d’immagine resistente al tempo.

Finisce male anche sul piano sportivo. Il 5 aprile, a un mese dall’eliminazione del Maccabi, l’Emerson disputa a Grenoble la decima finale europea consecutiva. Ne aveva vinte cinque. Complice il fallimentare arbitraggio dell’inglese Turner e dell’olandese Van der Willige, la perde. Curiosamente contro il Bosna di Sarajevo, città in cui nel ’70 la Valanga gialloblù di Nikolic e Messina aveva iniziato la marcia trionfale d’un memorabile decennio di vittorie, battendo l’Armata Rossa di Mosca.

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