VISTO&RIVISTO Noi, un horror che parla delle nostre paure più profonde

noi horror doppio peele

di Andrea Minchella

VISTO

NOI, di Jordan Peele (Us, Stati Uniti 2019, 116 min.).

L’horror, con Jordan Peele, ha nuovamente cambiato forma e colore. D’ora in poi chiunque vorrà cimentarsi con un film di questo genere, dovrà fare i conti con i nuovi parametri che il regista afroamericano ha dettato con “Get Out”, prima, e con questo angosciante “Us”, oggi.

La storia prende spunto dall’atavico elemento del doppio. Da sempre l’iconografia dell’arte, e non solo, ha guardato con morbosa curiosità l’idea che ognuno di noi sia sempre, o quasi, accompagnato da un nostro doppio. Freud alla fine dell’800 darà una connotazione scientifica a questo doppio che, secondo il neurologo austriaco, risiede dentro il nostro essere più profondo. Secondo Peele, invece, questo doppio risiede sotto le nostre città in compagnia di tutti i doppi delle persone che vivono in superficie. Questo il plot della storia, che viene magistralmente incastonato in un soggetto completo ed articolato, da cui lo stesso Peele trae una sceneggiatura ritmata ed equilibrata. Con il giovane regista, l’horror diventa pop e splatter nel senso “tarantiniano” del termine. Il sonoro che scandisce i numerosi tagli di gola fa sembrare preistoria l’icona degli anni ottanta “Freddy Krueger” e il suo guanto affilato. Tutto il racconto è tenuto unito da una colonna sonora che sembra dare una tridimensionalità alle scene più cruenti e scenografiche. Si passa dal rap più grezzo e duro degli anni novanta, a “Good Vibrations” dei Beach Boys come se ci fosse un juke box a scandire ogni scelta musicale.

L’angoscia che “l’altro” ci provoca non poteva essere un tema più attuale. Non solo in America, ma anche in Europa e in tante regioni del mondo, si vogliono costruire barriere che possano disincentivare in ogni modo l’arrivo in massa degli “altri”, di individui che cerchiamo di non vedere, ma che esistono e sono in carne e d’ossa come noi, e vogliono anche loro, in qualche modo, emanciparsi da una situazione di miseria, povertà e, spesso, di guerra. La nostra paura, però, viene alimentata ed incanalata proprio perché ci si possa illudere di poter respingere con forza tutto ciò che ci spaventa e ci minaccia, ma, come sottolinea Peele con questo racconto, ogni tentativo è vano, perché il desiderio di sopravvivere delle masse è più forte di qualsiasi barriera.

Da segnalare l’omaggio a due delle icone più influenti degli anni ottanta: Michael Jackson e il suo “Thriller”, e“Lo Squalo” di Steven Spielberg, entrambi impressi su due magliette che la protagonista indossa, addirittura, una sull’altra.

RIVISTO

THE BLAIR WITCH PROJECT – Il Mistero della Strega di Blair, di D. Myrick e E. Samchez (The Blair Witch Project, Stati Uniti 1999, 86 min.).

Con “Blair Witch Project” il cinema ha dovuto fare i conti con una epocale rivoluzione stilistica e grammaticale. Gli sconosciuti Myrick e Sanchez, infatti, realizzarono con un badget di poche migliaia di dollari, quello che per molti diventò lo sparti acque tra il cinema horror classico, mascherato e barocco, e le vere storie horror raccontate in maniera nuova e realistica. Il progetto dei due registi, infatti, esonda dalla sola narrazione cinematografica, e crea un vero e proprio caso durante il “Sundance Film Festival” di vent’anni fa: durante il festival, infatti, apparvero manifesti “veri” in cui si segnalava la scomparsa di tre film-makers che stavano realizzando un documentario su alcuni strani episodi avvenuti nella foresta di Black Hills, nel Maryland. Il film, quindi, secondo la ricostruzione geniale degli autori, sarebbe il filmato ritrovato nella foresta dopo la loro misteriosa scomparsa. E quindi lo spettatore assiste a delle movimentate e sgangherate inquadrature e scene che ritraggono i tre amici che si accampano nella foresta per cercare indizi sulla possibile presenza di una strega. Il ritmo però si fa sempre più serrato, e la possibilità che ciò che stiamo guardando sia vero e plausibile, diventa un’angosciante quanto asfissiante ipotesi che, piano piano, ci immobilizza fino la fine del film.

Vent’anni e non dimostrarli: ancora oggi questo interessante esperimento cinematografico spaventa e inquieta come alla sua prima proiezione.

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