Parco del Ticino devastato dai nubifragi. «Evento epocale, ko migliaia di alberi»

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MAGENTA Quattro nubifragi in luglio e l’ultimo, devastante, a fine agosto. Gran parte del Parco del Ticino è stata colpita con migliaia di alberi sradicati (come quelli nella foto) o stroncati nei boschi, mentre chilometri di filari campestri hanno subìto la stessa sorte sotto venti che hanno sempre superato i 100 km orari. «Soprattutto l’evento del 26 agosto – spiega oggi, venerdì 15 settembre, la presidente del Parco, Cristina Chiappa – ha raso al suolo centinaia di ettari di bosco tra Abbiategrasso e Pavia creando grandi lacune paragonabili, su minore scala, alla tempesta Vaia che dall’ottobre 2018 aveva colpito, con dimensioni sicuramente più catastrofiche, il Nord Est dell’Italia. Ma per le nostre foreste, le nostre più belle foreste di quercia, le ultime di queste dimensioni nella Pianura Padana, in proporzione il danno regge il paragone: si tratta di un evento epocale».

Boschi fragili e attaccabili da specie alloctone

«Il 26 agosto – ribadisce il consigliere delegato Massimo Braghieri – si sono verificati i danni maggiori nel Vigevanese e Abbiatense. Per i danni subiti dalle nostre foreste, soprattutto le più belle del Milanese e del Vigevanese, ci vorranno anni per un almeno auspicabile recupero dell’ecosistema forestale. Un ruolo lo hanno giocato, oltre alla forza dei venti, le caratteristiche dei suoli su cui insistono i nostri boschi di alto fusto, che in terreni superficiali come quelli prospicienti al fiume non hanno apparati radicali profondi. In questo momento i boschi sono particolarmente fragili e attaccabili da specie alloctone».

Droni e satelliti per stimare i danni

Sono in corso misurazioni con metodi innovativi quali droni e immagini satellitari, ma ci vorranno ancora alcune settimane per quantificare gli ettari di bosco rasi al suolo dai nubifragi estivi. Come osserva il direttore del Parco, Claudio De Paola, «la stima dei danni è ancora in corso e richiederà settimane. Avvieremo anche una riflessione sui nostri modelli organizzativi e sulla gestione forestale. Purtroppo si sono aperti grandi spazi per le specie esotiche che stavamo cercando di controllare; i modelli colturali del querco-carpineto in letteratura tecnica prevedono tempi più lunghi per la rinnovazione, tempi che con la crisi climatica in atto temiamo di non avere più a disposizione».

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