Pena di morte e (in)civiltà occidentale

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Egregio direttore,
Kenneth Eugene Smitè il primo condannato a morte americano ucciso con il nuovo metodo sperimentale (già nel passato si facevano di queste sperimentazioni, quei luoghi furono chiusi il 27 gennaio) la maschera ad azoto. È stato giustiziato giovedì sera, nell’Holman Correctional Facility di Atmore, in Alabama secondo i testimoni con atroci sofferenze.

La giusta reazione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Turk che ha espresso il suo rammarico per l’esecuzione di un criminale statunitense con gas azoto chiedendosi se il metodo possa essere equiparato alla tortura o al trattamento inumano. E ha aggiunto; “La pena di morte è “incompatibile con il diritto fondamentale alla vita”, invitando tutti gli Stati membri a imporre una moratoria sul suo utilizzo, “come passo verso l’abolizione universale”.

Varrebbe la pena sottolineare che, da una prospettiva storica, la Corte Suprema degli Stati Uniti non ha mai, in tutta la sua storia, ritenuto incostituzionale un mezzo di esecuzione in questo Paese. È passato di tutto è stato sperimentato di tutto: la sedia elettrica anche quando la gente prendeva fuoco, l’impiccagione, anche se la gente ne viene decapitata, la camera a gas, anche quando la gente muore soffocata, anche quando c’è il rischio di uccidere gli astanti perché i sigilli sulla camera a gas non sono stati mantenuti adeguatamente, come è quasi successo nel Mississippi.

Nel 2023 ben 24 detenuti sono stati giustiziati, in cinque Stati: Texas, Florida, Oklahoma, Missouri e Alabama. Negli USA continuano le esecuzioni, perpetuando una concezione della giustizia che assimila gli Usa a molti paesi che poi Washington condanna per le violazioni dei diritti umani, che ipocrisia.

Di cosa ci si può meravigliare ora, di nulla la barbarie imperversa nelle cosiddette civiltà occidentali. 

Piero Osvaldo Bossi
Gallarate