Giorgetti, il laghee varesino che decide alleanze e candidature

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Giancarlo Girogetti con la sciarpa del Southampton, di cui è acceso tifoso

E’ l’uomo ombra della Lega. E, proprio perché sta spesso nell’ombra, ha un potere uguale (o quasi) a quello di Matteo Salvini. I giornaloni lo cercano per intervistarlo, ma lui, Giancarlo Giorgetti da Cazzago Brabbia, cerca di sfuggire alle interviste. Parla poco, però quando parla esprime concetti che lasciano il segno. Come con Antonio Polito, una delle firme del Corriere della Sera, al quale Giorgetti predice la caduta del governo di Giuseppe Conte e, giudicando strategica la mossa di Salvini per un esecutivo ponte, riconosce che il centrodestra non è ancora pronto per riprendere le redini della nazione. Mica pizza e fichi, roba pesante, appunto.

Di lui si dice che abbia frequenti confronti con il Capitano; anzi, accesi scambi di idee per convincerlo a tenere la barra dritta. Per esempio, sconfinando in Europa, gli manda un messaggio inequivocabile: “Non capisco che cosa ci faccia la Lega con l’estrema destra tedesca. Ne ricaviamo solo guai”. Si dice anche che tra i suoi amici vi sia quel Mario Draghi da più parti invocato come l’unico che può salvare l’Italia dal default. Giorgetti conferma al Corriere: “Sarebbe quello che ci vuole, per fare cose che un governo raccogliticcio come quello attuale, tutto e solo preso dal consenso, non potrebbe mai fare”. Se non è un’investitura per guidare l’ipotizzato governo di scopo, da qui alle elezioni, poco ci manca. Secondo Polito, per Giorgetti “un esecutivo di ricostruzione nazionale potrebbe anche essere l’occasione della svolta per Salvini e la Lega”.

Tutta roba che finirà per andare a segno, accrescendo il prestigio politico di Giancarlo, l’ombra. Che, dalla quinte, condiziona la politica nazionale. Figurarsi quella della sua provincia, il Varesotto. Tutto passa e dovrà passare da Cazzago Brabbia. Bobo Maroni si autocandida sindaco di Varese? Giorgetti avalla, magari turandosi il naso per una serie di questioni anche di rapporti personali con l’ex presidente della Lombardia, e Maroni ha disco verde. La storica sezione leghista di Busto Arsizio rivendica la possibilità di insediarsi di nuovo alla guida di Palazzo Gilardoni, batte i pugni, fa i capricci, ma Giorgetti mette un freno alle pur legittime aspettative dei suoi: gli equilibri provinciali con gli alleati impongono una riflessione, fermi tutti fino a nuovo ordine. Che arriverà, quando arriverà, dalle sponde del lago di Varese, dove Giorgetti abita.

Un vero laghee, capace di imporsi pur stando zitto, con reticenze che hanno il valore di autorevoli imposizioni. C’è poco da fare: Busto Arsizio, Gallarate, Varese e tutti gli altri centri che andranno al voto in primavera dovranno passare da lui. E dall’unità del centrodestra, che oggi traballa sotto i colpi di singoli esponenti locali desiderosi di emergere, anche a costo di far litigare o, addirittura, far saltare la coalizione. Ma che finiranno per ritornare nei ranghi, come predica da sempre Matteo Bianchi, segretario provinciale della Lega. E se Bianchi predica in una direzione è perché Giorgetti è d’accordo, meglio, con tutta probabilità, gliel’ha suggerita lui la posizione da prendere.

Tutto questo per dire che il chiacchiericcio di queste settimane in funzione delle candidature per le amministrative rischia di essere fine a sé stesso. I conti veri si faranno più in là, al momento giusto, persino all’ultimo momento. Nomi e alleanze dovranno comunque avere l’imprimatur di chi comanda in Lega, ai livelli più alti. Dove sono assisi Salvini e Giorgetti. Dopo tutto, come sostiene Maroni – uno che la sa lunga – la Lega è un partito leninista: si discute, ma poi si fa ciò che decide il capo. Anche e soprattutto se il capo sta nell’ombra.

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