Se Forza Italia perde la testa

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E’ una Forza Italia in forte imbarazzo quella che esce dalle urne ridimensionata e, soprattutto, con le ossa rotte dalle inchieste giudiziarie e dai pesanti coinvolgimenti di natura penale dei suoi uomini di vertice. Parliamo con tutta evidenza del partito in provincia di Varese, colpito dagli elettori e dalla magistratura, ma non ancora affondato. I berlusconiani resistono, obbligati però a fare i conti con la nuova condizione di marginalità in cui versano al momento anche i loro referenti nazionali e a causa dell’incerto futuro del centrodestra.

Le dimissioni di Mariastella Gelmini da coordinatrice regionale finiscono per indebolirli ancora di più. Così, l’impegno del senatore Giacomo Caliendo, chiamato a gestire l’ingestibile qui nel Varesotto in qualità di commissario nominato, guarda caso, da Gelmini prima della sua resa, rischia di rivelarsi un’impresa quasi disperata. Forza Italia galleggia e a tenerla su è la Lega, oggi decisiva per la sopravvivenza amministrativa dei forzisti. E’ la Lega che detta la linea a Gallarate, città che paga pegno più di altre al presunto malaffare di Caianiello e soci; è la Lega che sorregge la baracca a Busto Arsizio, città coinvolta nemmeno tanto di striscio dalla raffica di misure cautelari e avvisi di garanzia. Tant’è vero che la rappresentanza forzista nella giunta di Andrea Cassani è obbligata a fare fagotto su richiesta esplicita del primo cittadino e quella bustocca è in attesa di sviluppi che non si annunciano rasserenanti per gli assessori con la casacca forzista. Una sorta di Caporetto politica dalla quale è difficile risorgere, così come si sono messe le cose.

A Gallarate, Cassani sta già ribaltando l’esecutivo, con il consenso senza alternative degli alleati; a Busto la tempesta è lì lì dallo scoppiare, tenuta per ora sottotraccia dalla sezione leghista che afferma pubblicamente leale appoggio al sindaco Emanuele Antonelli ma, in verità, alcune sue componenti meditano di mandarlo a casa prima del tempo. Le elezioni anticipate sono infatti nei desideri di un Carroccio varesino che in molte località passa di gran lunga il 40 per cento dei consensi e, così rimanendo, potrebbe tranquillamente ballare da solo. Specialmente in considerazione di alleati che devono rispondere di un malcostume impensabile in questa ampiezza fino a qualche settimana fa. I quali alleati, ricordiamolo, sono oggi senza una vera regia. Perlomeno, fino a prova contraria, Caliendo non ha le stesse possibilità di interlocuzione di un Nino Caianiello, che discuteva, brigava, convinceva, litigava, prometteva, imponeva, a volte ricattava politicamente persino la Lega e finanche il Pd.

Era lui, Caianiello, già condannato in via definitiva a tre anni per concussione, lo stesso reato che gli contestano ora, a pilotare Forza Italia. Glielo lasciavano fare e lui ci metteva del suo. Fino al punto che le segreterie dei partiti, da destra a sinistra, i sindaci di molte città e paesi, imprenditori e personaggi autorevoli della cosiddetta società civile, gli davano retta e credito. E gli equilibri erano garantiti. Se scrivessimo che in provincia di Varese, con l’arresto del mullah, Forza Italia ha per paradosso perso la testa, scriveremmo il vero. Al di là del doppio senso che ciascuno può cogliere, se gli interessa coglierlo.

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