Gli anni bui del fascismo nei libri di Civati e Catone. Incontro con Anpi a Sesto

SESTO CALENDE – Gli anni bui del nazifascismo, che ancora oggi fanno tanto discutere e tengono acceso il dibattito politico e sociale. Tocca a Sesto Calende portare questa tema – così delicato e attuale – sul tavolo, con due ospiti di spicco. Il primo: Giuseppe Civati, politico, saggista, editore. Presenterà il suo libro “Non siete fascisti ma“. Il secondo: Stefano Catone, scrittore e socio fondatore della casa editrice People. Anche lui presenterà la sua ultima fatica, ovvero “La bestia di Bolzano“. Un evento promosso dall’associazione locale di Anpi.

“Non siete fascisti ma”

Appuntamento per venerdì 2 dicembre nella sala consiliare, a partire dalle 18.30. Interverrà Giuseppe “Pippo” Civati, fondatore e primo segretario di “Possibile” e di recente candidato al Senato in Emilia Romagna con Alleanza Verdi Sinistra Italiana. Il suo ultimo lavoro – “Non siete fascisti ma”, appunto – viene così riassunto sul sito Mondadori: «A quasi ottant’anni dalla caduta del suo regime, il fascismo non è mai morto, sepolto nelle pieghe più oscure della nostra società e negli angoli più reconditi della nostra coscienza nazionale, pronto a riemergere al momento opportuno. Civati smonta punto per punto l’armamentario di paradossi di cui si servono ogni giorno i tanti, troppi, che “non sono fascisti, ma”».

“La bestia di Bolzano”

Al sua fianco, Stefano Catone. Questo il tema, sempre riportato dal sito Mondadori, del suo libro “La bestia di Bolzano”: «Michael Seifert è un uomo come tanti. Ha lavorato una vita, ha un famiglia, frequenta la parrocchia. Eppure, alla fine degli anni ’90, riceve all’indirizzo di casa sua, a Vancouver, un avviso di garanzia: il tribunale militare di Verona ha aperto un fascicolo su di lui. Gli sono contestati fatti molto gravi – trattamenti inumani e degradanti, uccisioni – avvenuti a cavallo tra il 1944 e il 1945 nel lager di Bolzano. Dove sorgeva il lager sono state costruite delle palazzine negli anni ’60, forse per dimenticare una storia troppo dolorosa. Eppure, sessant’anni dopo, un procuratore riapre il caso, fino alla condanna di quello che fu chiamato “il boia di Bolzano”»

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