Sos per il Parco Castello di Legnano: «Gli alberi hanno gli anni contati»

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LEGNANO – Legnanesi, godetevi l’attuale vostro Parco Castello (nella foto) come è ora, perché tra qualche anno non si presenterà più così. Permettetemi però di raccontare qui anche se sommariamente la sua storia, perché molti di certo non la conoscono.

Polmone verde avviato quasi 60 anni fa

Quando il Comune di Legnano nel 1964 acquisì il Castello, la proprietà legò alla vendita dell’edificio anche quella dei coltivi annessi. I campi attorno al Castello erano ricche marcite ed erano servite fino a pochi anni prima a produrre foraggio tutto l’anno per il bestiame allevato nelle stalle del Castello stesso. Pochi erano allora gli alberi autoctoni presenti (gelsi, salici, robinie, sambuchi).

Nel 1976 il consiglio comunale vincolò a verde pubblico tutta l’area. Dopo la costruzione della recinzione del parco e la sistemazione del terreno, l’allora geometra Olgiati ottenne a basso costo 1.150 piantine (alte circa 50 cm) dall’Ente forestale dello Stato. Erano per lo più di specie non autoctone, ossia conifere che vennero sistemate fitte, perché si supponeva che molte di esse non sarebbero attecchite. Invece essendo il terreno irriguo e ricco prosperarono tutte, tanto che fu necessario addirittura procedere ad uno sfoltimento.

Una crescita troppo rapida

Le piante rimaste crebbero così talmente in fretta, ma come se invecchiassero anzi tempo: oggi è come se avessero non 50/60, ma 200 anni. Insomma, hanno raggiunto attualmente già la fine della loro età media che è di circa 200-300 anni, e dunque tra pochi anni quelle rimaste sono destinate tutte a morire.

Nel 2012 fu effettuata un’ispezione completa e furono numerate: erano ben 3.495, escluse le macchie storiche di robinie. Fu constatato già allora, però, che il terreno si era modificato. L’eliminazione della marcita (che utilizzava lo scorrere dell’acqua proveniente dall’Olona) e l’abbassamento della falda acquifera di tutto il territorio circostante, oltre al riscaldamento del clima, hanno reindirizzato l’ambiente verso le caratteristiche naturali di un territorio arido, perciò difficile da gestire. Pertanto molte piante (pini neri), in verità adatte ad un habitat oltre i 700 metri di altitudine, ovvero di terreni rocciosi e con un clima diverso, sono morte prima ancora della siccità del 2022.

Siccità killer

Oggi non solo tutte le aghifoglie rimaste sono in crisi perché vittime anche di parassiti, ma anche i pioppi sono in sofferenza perché indeboliti da malattie. Buona parte delle piante morte nel frattempo, comunque, sono state sostituite da essenze autoctone più resistenti quali frassini, querce e noci.

All’inizio di settembre di quest’anno dopo un mio sopraluogo molto approssimativo posso dire che sono morte oltre un centinaio di piante a causa soprattutto della prolungata siccità, fra cui moltissime piante messe a dimora negli ultimi tre anni. Ora, se non si provvederà in modo urgente ad affrontare una serie di problemi legati al cambiamento climatico, cari amici nel giro di pochi anni il nostro Parco non esisterà più.

Emilia Borellini

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