Stop al tutti contro tutti. Ora alle urne

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Per dirla in modo enfatico: si chiude la campagna elettorale, si aprono le urne. Lunedì ci sveglieremo con una nuova maggioranza parlamentare: il centrodestra spera di fare cappotto e di ottenere un risultato che gli permetta di governare da solo;  il centrosinistra chiede agli italiani il “voto utile” per evitare di essere messo all’angolo dagli avversari. Aspettative attorno alle quali fioccano pareri, supposizioni, certezze e indeterminatezze. Come andrà a finire, lo vedremo tra poche ore. I sondaggi hanno già dato un’indicazione più o meno credibile, anzi, ampiamente credibile. Ma lo spoglio nella notte tra domenica e lunedì non è esente da possibili sorprese. Le quali sono da ascrivere, se mai ci saranno, alla folta compagine degli elettori indecisi, coloro che sceglieranno addirittura in cabina elettorale a chi dare la preferenza. Un numero consistente di italiani e italiane che ancora “non sanno che cosa fare” e che, proprio per questi loro tentennamenti, potrebbero modificare l’esito della consultazione così come sinora pronosticata.

Nel frattempo i partiti giocano le ultime carte con prese di posizione su dichiarazioni improvvide o volute di alcuni leader. Silvio Berlusconi che spiega a suo modo “l’operazione militare speciale” della Russia in Ucraina :“Putin voleva sostituire il governo di Zelensky con persone perbene”. Ursula von der Leyen che entra a gamba tesa sul voto nel nostro Paese affermando: “Se la situazione si farà difficile abbiamo gli strumenti per intervenire”.  Benché i diretti interessati si siano affrettati a precisare, chiarire, smentire, le loro uscite non hanno avuto l’effetto dell’acqua sul marmo. Al punto che i diversi leader, a seconda delle prospettive, ci hanno dato dentro con i commenti.

Degno epilogo di una campagna elettorale da centometristi, nata dal licenziamento di Mario Draghi in piena estate e giocata sulle contrapposizioni personali piuttosto che su confronti programmatici e di sostanza. Lo sbocco è uno scontro di tutti contro tutti, con l’ulteriore risultato, come scrive Vittorio Feltri, “di politici ai quali più che racimolare voti sembrava interessare sottrarli agli antagonisti, bersaglio quotidiano di attacchi scomposti e anche penosamente puerili”. Una festa di “sparacazzate”.

Si arriva così alla domenica fatidica con una sorta di nausea collettiva, che finirà per accrescere il numero degli indecisi e, soprattutto, di coloro i quali diserteranno le urne. Dalle premesse di cui sopra, appaiono risibili gli appelli al voto, rispetto appunto a un contesto che non favorisce affatto la chiarezza. E la necessaria serenità per esercitare un diritto sacrosanto, di cui dovremmo essere consapevoli, nonostante tutto. Il problema, esattamente come sostiene Feltri, è che i partiti, più che agli italiani, hanno pensato e stanno pensando a loro stessi. In ballo c’è addirittura la sopravvivenza di alcune leadership, quelle di Matteo Salvini e Enrico Letta in primis. Formazioni politiche, la Lega e il Partito democratico, di primissima fascia nell’attuale scenario che, domenica 25, si giocano una buona fetta di credibilità e di frequentazione del potere.

La più tranquilla di tutti è Giorgia Meloni, data vincente senza ombra di dubbio. Però, c’è un però, che le arriva dal suo schieramento: né Salvini né Berlusconi sono felici di cederle lo scettro del comando. Nell’apparente unità della vigilia fanno capolino certi distinguo, in politica internazionale e non solo, che rendono sin d’ora complicato il dopo elezioni.

E’ una bella partita quella che si annuncia. Ad ogni livello. Tra le future minoranze, in probabile debito di consensi, e tra la possibile futura maggioranza. Oltre le chiacchiere del momento, c’è la realtà. “La realtà al potere” la definisce Giancarlo Giorgetti, sostituendo questo slogan al più diffuso “La fantasia al potere”. Anche se di fantasia, nell’accezione meno nobile del termine, ce n’è in sovrabbondanza, e la realtà, che sia o no al potere, è ancora tutta da scrivere. O da capire.

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