Uomini che odiano le donne. E le istituzioni? 

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L'Aula semideserta del Senato durante la discussione del ddl contro la violenza alle donne

Nel giorno dedicato alle donne, enfatizzato (ma non poteva essere diversamente) per la spinta emozionale dell’omicidio di Giulia Cecchettin, nel mezzo dell’onda mediatica che sta riempendo giornali e Tv, nel rincorrersi di commenti, giudizi, dibattiti, cortei, panchine rosse e soluzioni attorno alla violenza di genere e al patriarcato dominante, ci viene da soffermarci sull’atteggiamento delle istituzioni di fronte a tutto ciò. “Non siete sole” ha scritto la Polizia di Stato su Instagram, mettendo in luce una rinnovata attenzione verso un fenomeno dilagante e, per questo, ma non solo per questo, molto preoccupante.

Per definizione non si può parlar male delle forze dell’ordine, che fanno quello che possono, quando possono. Poi leggi ciò che postano sui social le donne che hanno chiesto aiuto e scopri che non sempre l’aiuto c’è stato. Per sottovalutazione della chiamata di soccorso, per negligenza, per il reiterarsi (bisogna dirlo) anche di falsi allarmi, per le mille altre incombenze a cui fare fronte, per mancanza di personale.

“Impegnati in altri urgenti servizi” è appunto la giustificazione dei carabinieri che non sono potuti intervenire alla chiamata del testimone della lite tra Giulia e il suo fidanzato assassino: il loro tempestivo arrivo avrebbe potuto evitare il dramma. Ma possiamo fare loro una colpa? Caserme e commissariati hanno organici oramai ridotti ai minimi termini, e le incombenze si sono moltiplicate a dismisura: la violenza non è soltanto quella di genere, pleonastico elencare quante e quali forme di violenza caratterizzano la società. La magistratura però ha aperto un fascicolo per accertare come mai non ci sia stata risposta alla chiamata di quella tragica sera. Giusto? Sbagliato? Se non fosse finita con una notte di sangue, nessuno se ne sarebbe dato pena. Per prima la magistratura.

Nemmeno il Parlamento avrebbe accelerato l’approvazione all’unanimità della legge contro la violenza sulle donne. In settimana il Senato ha vissuto una giornata di inusuale sintonia tra maggioranza e opposizione, comunque su un problema enorme, prima che legislativo culturale (ma questa è un’altra faccia, la più importante, della stessa questione). E’ stato dato il via libera al disegno di legge del governo per fermare i femminicidi e la violenza di genere e ha approvato due ordini del giorno del Partito democratico che riducono i tempi per la discussione d’Aula sull’introduzione dei corsi antiviolenza nelle scuole. Tutto bene, benissimo, si dirà. Mica tanto. Per un motivo documentato dalle immagini: durante la discussione del provvedimento, l’emiciclo di Palazzo Madama è apparso semivuoto, se non, in alcuni momenti, assolutamente deserto. Sarebbe questa la considerazione istituzionale alla vicenda? La risposta è scontata e l’assenza collettiva dei senatori si commenta da sé. Salvo poi pontificare a tutto tondo sulla necessità, l’urgenza, l’importanza e via elencando di mettere fine alle tragedie che hanno come vittime le donne.

Accennavamo: il problema è soprattutto culturale. Riguarda tutti e, tutti, dovremmo fare uno scatto in avanti per cercare, se non di risolverlo, di renderlo meno impellente e drammatico. Uno scatto culturale e di sensibilizzazione che riguarda prima di tutto gli uomini, non c’è discussione. Poi le istituzioni, a cominciare dai massimi rappresentanti istituzionali che durante un confronto decisivo come quello dell’altro giorno in Senato, invece di stare seduti sugli scranni, anche solo per una testimonianza attiva e solidale, erano probabilmente attovagliati alla buvette.

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