Emanuele e Roberto, nomi che scottano

maroni antonelli

La vera o presunta, pretesa o annunciata, supportata o sopportata candidatura di Roberto Maroni a sindaco di Varese ha tenuto banco in questi ultimi giorni. Ha di fatto oscurato la corsa elettorale dei Comuni varesini che vanno al voto fra tre domeniche, relegando sullo sfondo l’appuntamento con le urne. C’era da aspettarselo, data la caratura politica dell’ex capo del Viminale che, un paio d’anni fa, si era detto deciso a uscire di scena per dedicarsi a “una nuova vita”. Il suo ripensamento e la conseguente ridiscesa in campo fa notizia, anzi, è “la notizia”, alla luce di contesti che non offrono né stabilità né personaggi all’altezza della difficile, a tratti drammatica, situazione amministrativa, sociale e sanitaria.

Quello di Maroni è un nome importante, ovvio. Capace di sparigliare dentro e fuori la Lega, il suo partito. Ora obbligato, il Carroccio, a rivedere alcune prospettive per il prossimo anno, quando si voterà nel capoluogo, a Busto Arsizio e a Gallarate. Sarà Maroni l’avversario principale di Davide Galimberti nella Città Giardino? “Sceglie la sezione” avverte Matteo Salvini. Mah. Nella Lega “leninista”, come ebbe a dire una volta proprio Maroni, certe scelte sono quanto meno suggerite dai vertici nazionali e federali, soprattutto quando la posta è alta, come a Varese. Tutto questo, nonostante i mal di pancia di qualche leghista che conta, il quale, sotto il Sacro Monte, guarda con fastidio all’ex ministro dell’Interno e governatore lombardo. Che però piace agli alleati del centrodestra e ha già avuto l’endorsement di Attilio Fontana. Mica pizza e fichi sulla strada della candidatura ufficiale.

Insomma, il discorso si fa pesante e imbocca strade tortuose. Benché prima del voto della primavera 2021 vadano superate, analizzate e metabolizzate le elezioni del 20-21 settembre e le successive consultazioni di secondo livello per la Provincia. Gli esiti del primo appuntamento potrebbero portare a sconvolgimenti nelle stesse alleanze, la Lega, cioè, in forza di un successo sia locale sia nelle Regioni in cui si vota, sarebbe nelle condizioni di mandare all’aria il tradizionale schieramento. Le prove generali le sta facendo a Luino, per esempio. Ma non solo. In quel caso, la prima intesa pronta a saltare è a Busto Arsizio. Lì, la sezione leghista vuole riappropriarsi del Comune, affrancandosi dalla candidatura bis di Emanuele Antonelli, sindaco mai digerito dal Carroccio, specialmente ora che è passato armi e bagagli con Fratelli d’Italia. Ma, attenzione, i giochi sono già stati abbozzati in provincia di Varese: capoluogo e Gallarate alla Lega; Busto Arsizio al partito della Meloni (Forza Italia, al momento, non pervenuta).

“Decidono le sezioni” ribadisce Matteo Salvini. Vedremo. Nel frattempo i nomi di Roberto Maroni e Emanuele Antonelli, quest’ultimo enigmatico nel ripetere che potrebbe anche rinunciare a ricandidarsi, ma molto dipende dal voto di settembre e da alcune vicende amministrative che faticano ad andare in buca, sono nomi che scottano. E fanno discutere. E creano apprensione alla stessa segreteria leghista, che anela a un quadro di riferimento tranquillo e invece si ritrova città politicamente in fiamme. Se davvero dovessero decidere le sezioni in autonomia, digiune di strategie, esigenze e variabili di diversa natura, si finirebbe per portare benzina a roghi facili ad estendersi oltre i confini territoriali. Per questo la sensazione è di trovarsi di fronte al solito teatrino della politica: si dice una cosa, se ne fa un’altra. Come sempre è accaduto, come accade oggi più di ieri. Fino al punto che i nomi che scottano possano infine anche bruciarsi.

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