Virginia, stop alla pena di morte

SVOLTA storica NEGLI STATI UNITI

di Carlo Pedroli

Nel 1608, nella colonia britannica di Jamestown, attuale Virginia, i coloni inglesi, prevalentemente proprietari terrieri, eseguirono la prima condanna a morte: un uomo di origine spagnola venne giustiziato per aver commesso il reato di spionaggio. Da quel giorno in Virginia oltre 1400 persone hanno ricevuto, secondo il Death penalty information center, la medesima condanna. La Virginia è lo stato americano in cui sono state eseguite il maggior numero di pene capitali.

Questi dati sottolineano la portata storica dell’attuale svolta. In data 22 febbraio, infatti, il Congresso della Virginia ha approvato la legge per l’abolizione della pena di morte. La maggioranza democratica si è fatta portavoce del messaggio abolizionista definendo la pratica arcaica e superata. A nulla è valsa l’opposizione dei repubblicani in minoranza, che negli ultimi mesi si sono dichiarati invece favorevoli alla pena capitale, per punire crimini particolarmente atroci.

Questa legge è solo l’ultima di una serie di azioni progressiste adottate dallo stato della Virginia, storicamente roccaforte repubblicana. Nel 2019, anno di inizio della svolta dem, il numero di legislatori democratici ha superato per la prima volta quello dei repubblicani. Questo ha permesso al disegno di legge sull’abolizione della pena di morte di venire approvato. La norma è ora passata nelle mani del governatore democratico Ralph Northam, convinto abolizionista, e verrà firmata e promulgata nei prossimi giorni. Northam nella dichiarazione congiunta sul passaggio finale della legislazione ha sottolineato quanto sia “fondamentale che il sistema di giustizia penale funzioni in modo equo e punisca le persone in modo equo. Sappiamo tutti – ha continuato Northam – che la pena di morte non lo fa. È un metodo iniquo, inefficace e disumano.”

Non ci sono dubbi quindi, lo stato della Virginia si unirà ai 22 stati americani che hanno abolito e non praticano la pena di morte. Una pagina di storia americana che cambia in maniera radicale. Negli anni 70 del Novecento, infatti, il consenso popolare verso questa pratica, grazie anche alla politica reazionaria e conservatrice del partito repubblicano in risposta ai movimenti sessantottini, era ancora ben solido e radicato. Ora, invece, inizia a traballare. La spinta democratica verso l’abolizione della pena capitale è supportata anche dai recenti eventi di cronaca. Secondo Micheal Stone, presidente di Virginian for Alternative to Death Penalty, le proteste del movimento Black Live Matter in risposta alla morte di G. Floyd hanno contribuito a porre maggiore attenzione riguardo alle problematiche sociali e di giustizia penale.

Continua quindi il processo di analisi storica in America che porta alla revisione dei capisaldi nazionali e delle tradizioni normative, come la segregazione razziale. Anche la pena di morte è un’istituzione fortemente razzista che nasce dalla volontà storica sudista d’imporre un sistema di supremazia bianca all’interno della società.

L’etnia dell’imputato e il colore della pelle sono fattori che giocano ancora oggi un ruolo fondamentale nei casi di condanne capitali. Uno studio del 2015 sulle esecuzioni capitali negli Stati Uniti condotto dall’Università della Carolina del Nord e dal Georgetown Law Center ha rilevato che tra “il 1976 e il 2015 l’elemento più affidabile per capire se un imputato verrà giustiziato o meno resta il colore della sua pelle”. Gli imputati vengono giustiziati raramente, secondo lo studio, se la loro vittima è un nero, mentre se gli imputati hanno ucciso un uomo bianco hanno maggiori probabilità di ricevere una condanna a morte. Così dicono le statistiche.