Birmania, ritratto della lady dissidente

Chi è San Suu Kyi e perché è stata deposta da un colpo di stato militare

di Marta Mallamace

Lunedì 1 febbraio 2021, la settimana di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace e leader politico della Birmania, inizia nel modo più tragico: i militari mettono a segno un colpo di stato, la destituiscono e la rinchiudono in carcere. Da quel momento si scatena la protesta popolare in Birmania o Myanmar, nome con cui viene chiamato il Paese dai militari.

Ma chi è Aung San Suu Kyi? Nasce nel 1945, l’anno della liberazione e porta il nome di suo padre, eroe nazionale considerato il fondatore della patria, che lottò per l’indipendenza dal governo britannico.
Aung San Suu Kyi cresce in India, si forma presso la scuola metodista inglese, si laurea in scienze politiche, lavora per le Nazioni Unite e non tornerà nel suo paese natio per ventotto anni, fino alla malattia della madre.

Siamo nel 1988. In quell’anno il Myanmar è in rivolta, gli studenti scendono in piazza chiedendo una maggiore libertà e la fine della dittatura militare, al potere dal 1962. Viene indetto un grande sciopero generale, al quale l’esercito reagisce con violenza, portando Aung San Suu alla definitiva decisione di partecipare attivamente alla vita politica del suo paese, diventando leader del movimento per la democrazia birmano. Il movimento politico e la forte risonanza mondiale dell’impegno politico esercitato dalla donna, chiamata “the Lady” dal popolo, costringe l’esercito a indire le elezioni nel 1990, non prima però di aver arrestato la leader assieme a molti altri, facendone prigionieri politici. Aung San Suu Kyi rimarrà agli arresti domiciliari per quindici anni, diventando una delle prigioniere politiche più famose al mondo, vincendo il Nobel per la pace nel 1991 e il premio Sakharov, che non riuscirà mai a ritirare.

Il tentativo dell’esercito di ostacolare l’ascesa politica del movimento democratico verso un potere legittimo non è sufficiente: queste elezioni vedono come vincitrice incontrastata la Lega Nazionale per la Democrazia. Cioè Aung San Suu. Umiliato, l’esercito reagisce con violenza, non riconoscendo il risultato delle elezioni. Sarà solamente l’influenza americana a mediare e pretendere una maggiore coesistenza delle due fazioni.

Sono tempi difficili quelli tra il 2000 e l’anno dell’effettiva liberazione di Aung San Suu, avvenuta nel 2010. Un decennio costellato di molteplici mandati di arresto, repressioni, eccidi e la paura costante che Aung San Suu Kyi fosse messa a tacere per sempre. Alla fine di questo periodo il governo decide però di attuare un forte processo di liberalizzazione per aprirsi al mondo e alleggerire le tensioni interne del Paese, portando Aung San Suu Kyi e la Lega Nazionale Democratica a vincere le elezioni del 2015: le prime a essere veramente libere. Il Myanmar, non essendosi formato e trasformato in una vera e propria democrazia, vede rimanere saldo il potere militare, che continua a riservarsi una buona parte dei seggi legislativi e ministeri chiave, con poteri di veto su qualsiasi riforma della Costituzione del 2008, limitando di molto l’azione politica dei democratici.

Così Aung San Suu Kyi divide il potere con lo stesso esercito che da sempre ha tentato di metterla a tacere, cercando di preservare una fragile democrazia che sembra però non fare passi in avanti, ma che vede il proliferare di episodi di censura punitiva. Infatti, pur essendo sostenuta da una gran parte della popolazione, negli ultimi tempi la leader è fortemente criticata, sia internamente che esternamente, soprattutto per il mancato sostegno alla causa contro la persecuzione della minoranza musulmana dei Rohingya, compiuta dai militari a partire dal 2017, oggi considerata un genocidio, o quella dei cattolici in Kachin. Nonostante questo, come per le elezioni del 1990 e del 2015, quelle di novembre 2020 vedono vincitrice la Lega Nazionale per la Democrazia. Così, il primo febbraio 2021 le forze armate assumono il potere, arrestando Aung San Suu Kyi e dichiarando lo stato di emergenza, che – nelle intenzioni dei militari – dovrebbe durare un anno. La transizione democratica del Myanmar subisce così un forte attacco, come la stessa Aung San Suu Kyi.

In molti scendono in piazza a manifestare, pacificamente e responsabilmente; restano però poco chiare le sorti della leader che senza il sostegno della comunità internazionale avrà, questa volta più delle altre, serie difficoltà nel proseguire la sua carriera politica.

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