VISTO&RIVISTO Il viaggio introspettivo all’interno di un’anima

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di Andrea Minchella

VISTO

DOLOR Y GLORIA, di Pedro Almodovar (Spagna 2019, 113 min.).

Puoi decidere. O vai da uno psicoterapeuta, lo paghi, gli racconti tutto quello che non racconteresti a nessuno. O giri un film come questo.

Pedro Almodovar preferisce il cinema come strumento di psicoanalisi. E anche noi apprezziamo questa sua decisione. Infatti, dopo un periodo più fumoso e inconcludente, il regista spagnolo ci regala nuovamente un’opera piena di ricordi ed emozioni che, in fondo, riguarda tuti noi. La paura ancestrale di perdere l’ispirazione per un regista, che in questo racconto viene egregiamente rappresentata con una seria di problematiche psicosomatiche, è, fondamentalmente, la paura più in generale della perdita del desiderio, della speranza, dell’amore, che sono le principali motivazioni alla base delle nostre esistenze. Almodovar, che affida il suo “Io” ad un bravissimo ed intenso Banderas, ripercorre, con cenni autobiografici, un periodo della sua vita in cui, certamente, la paura di perdere quell’ispirazione che lo aveva reso famoso lo ha portato a blocchi o ripensamenti che hanno influito anche sulla sua vita artistica.

Questo film è un interessante viaggio all’interno di un’anima gentile, che dell’arte ha deciso di farne una ragione di vita. Cinema, teatro e pittura si fondono insieme creando una forma d’arte visiva che trascende dai canoni tradizionali, per avvolgere in un atavico abbraccio materno chi ha la fortuna di poter assistere ad alcune di queste esperienze artistiche. Anche in questo racconto, Almodovar non risparmia inquadrature per quello che, per molti, rimane il rapporto più misterioso che essere umano conosca: quello con la propria madre. Il regista in crisi artistica, infatti, pone l’inizio delle sue difficoltà con la perdita della madre, tanto diversa da lui, ma, infondo, generatrice involontaria di arte e poesia. E proprio ripercorrendo le ultime fasi della vita dell’amata madre, “l’altro” Almodovar riuscirà a trovare la forza di rialzarsi e di fare ciò che meglio gli riesce: generare arte.

I colori e i dialoghi sono di Pedro Almodovar che con questo suo ventiduesimo film ci regala un interessante lettura della vita e di come, spesso, il decadimento fisico di una persona sia strettamente legato al suo decadimento spirituale.

Da segnalare una semplice e spontanea Penelope Cruz che, con Almodovar, sembra ritrovare sempre la sua innata e preziosa bravura attoriale.

 

RIVISTO

ANNI FELICI, di Daniele Luchetti (Italia 2013, 106 min.).

Un piccolo gioiello italiano che nasce dai ricordi tormentati di un giovane quanto già abbastanza maturo Daniele Luchetti. Il piccolo protagonista del film, infatti, vive l’espressione artistica del padre in maniera simbiotica tanto da venirne nutrito fino a quando, ormai lontano dalla sua complessa e anticonvenzionale famiglia, intraprenderà la carriera cinematografica, prima come aiuto regista del gigante Nanni Moretti, poi come regista dei fortunati “Il Portaborse” o “Mio Fratello è Figlio Unico”, anch’esso autobiografico.

Per capire nel profondo la filmografia del talentuoso Luchetti, infatti, va visto con attenzione questo dolce e poetico ritratto della Roma di metà anni settanta, in cui un giovane ed eccentrico artista, interpretato da un mitografico Kim Rossi Stuart, cerca in tutti i modi di esprimere la sua arte, anche a discapito della troppo borghese e convenzionale famiglia che, pur amandola alla follia, la vede come un ostacolo per la sua incessante ispirazione.

L’arte, dunque, per il regista romano non può che generarsi dal dolore e dalla malinconia. Anche la sua scelta di fare cinema, infatti, nasce in un contesto certamente permeato dall’amore paterno, ma dove la confusione e la latente follia avvolgono un clima famigliare difficile e a volte schizofrenico.

Brava Micaela Ramazzotti in questo film che va rivisto per capire qualcosa di più dell’arte, del lessico famigliare e, in fondo, di noi stessi.

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