VISTO&RIVISTO Saverio Costanzo ambizioso, però non tiene il punto

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di Andrea Minchella

VISTO

FINALMENTE L’ ALBA, di Saverio Costanzo (Italia 2023, 140/119 min.).

Ci si aspettava di più da un regista che negli anni ci ha regalato dei lavori potenti e originali. Fin dal suo debutto, con l’attualissimo “Private”, Saverio Costanzo ci ha abituati a storie drammatiche raccontate con una capacità narrativa essenziale ma mai superficiale. Il regista romano ha sempre costruito un contenitore in cui le ossessioni e le fragilità si trasformavano nel linguaggio sincero e schietto di un dramma universale che tocca tutti. Se nel silenzioso “In Memoria di Me” la coscienza del protagonista diventava la coscienza dello spettatore, nel sublime “La Solitudine dei Numeri Primi” avveniva una delle trasposizioni da un libro, anch’esso meraviglioso, migliori di sempre. Regista e scrittore sembravano essere la stessa anima spezzata da un’esperienza comune di sofferenze e paure. Anche il poco compreso “Hungry Hearts”, in terra americana, ha saputo cristallizzare perfettamente le ossessioni materne che scardinano violentemente ogni ancestrale sentimento umano presente in una madre.

Ora, dopo la lunga esperienza televisiva de “L’Amica Geniale” in cui l’autore romano è riuscito nella complicata operazione di realizzare la trasposizione di una gigantesca opera letteraria come è quella di Elena Ferrante, decide di realizzare un film da lui scritto in cui il mondo del cinema dei primi anni 50 diventa il terreno perfetto dove ambientare la sua storia.

Interessante sulla carta, meno avvincente sulla pellicola, la vicenda prende spunto dal delitto dei primi anni 50 di Wilma Montesi, giovane donna ritrovata morta sulla spiaggia di Ostia, vicino la villa di un uomo facoltoso romano, e poco distante dai giganteschi studi di Cinecittà dove, in quegli anni, si realizzavano di continuo “kolossal” americani di ogni genere. La ragazza probabilmente fu vittima inconsapevole di un gioco scabroso da parte di potenti presenti ad una delle tante feste che si svolgevano nella vicina villa. Il mistero non fu mai risolto.

“Finalmente L’Alba” ci racconta di Mimosa, una giovane ragazza romana, che viene scelta per caso come figurante in un film sull’Egitto che stanno girando a Cinecittà. Colpita dalla sua innocente bellezza, la protagonista del film, l’attrice protagonista Josephine Esperanto decide, dopo le riprese di quel giorno, di portarsela in giro in una notte Romana che cambierà per sempre la vita di Mimosa e la sua visione del mondo e della vita.

Dunque Saverio Costanzo parte dal cinema per raccontarci una storia di crescita, di maturazione, in cui il dolore per la perdita dell’innocenza diventa il germe che tutti gli adulti si portano dietro per tutta la vita. Il cinema, che diventa finzione nella finzione, ingloba la giovane e ingenua Mimosa per tritare le sue aspettative e i suoi sogni più profondi. La realtà di quel mondo, come quella del mondo degli adulti, non è indulgente né comprensiva. Mimosa viene trascinata in un viaggio asfissiante e mitografico in cui la maturazione avviene in un tempo troppo breve, lasciando violente ed evidenti tracce sul suo corpo e nella sua anima. Il vestito che viene abbandonato sul viale di Cinecittà, prima che il viaggio dentro una Roma buia e ombrosa cominci, diventa la pelle del bambino che cade lasciando il posto alla pelle, più dura e sporca, dell’adulto.

In un gioco di specchi e ombre, il racconto di Costanzo parte nel migliore dei modi, con una ricostruzione sorprendente di un film neo realistico, prima, e di un “kolossal” hollywoodiano, poi, in cui il cinema è l’assoluto protagonista. Poi la tensione stilistica e narrativa sembra sfilacciarsi lasciando il posto ad una narrazione sempre più piatta il cui ritmo si dissolve e si perde. Tranne alcune sequenze magistralmente realizzate, con una colonna sonora “techno” che universalizza ciò che Costanzo sta filmando, come la scena sul set “egiziano” del “kolossal” in lavorazione, il film perde sempre più efficacia senza mai riuscire a risollevarsi. Il cast forse non è all’altezza della storia, la sceneggiatura risente probabilmente di non essere stata tratta da un romanzo-capolavoro.

Il film, dunque, si incastra in un vortice di immagini e battute che limitano parecchio il potenziale enorme della storia. Peccato.

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RIVISTO

DIRTY DANCING (BALLI PROIBITI), di Emile Ardolino (Dirty Dancing, Stai Uniti 1987, 100 min.).

Crescere non è mai stato così bello. Un manifesto per le ragazze di tutto il mondo degli anni 80, questo film ci racconta in maniera leggera e coinvolgente cosa vuol dire crescere e maturare seguendo il proprio istinto e le proprie passioni.

Una Jennifer Grey magistrale che non raggiungerà mai più livelli di recitazione tanto elevati, e un Patrick Swayze che ha fatto ballare e innamorare un mondo intero. Una favola delicata e necessaria, figlia di un’epoca carica di sogni e speranze.

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