VISTO&RIVISTO Tornare teenagers impauriti e innamorati per un’ora e mezzo

minchella russo visto rivisto

di Andrea Minchella

VISTO

NOI ANNI LUCE, di Tiziano Russo (Italia 2023, 90 min.).

Non tutto il male viene per nuocere. Devo dire che prima di entrare in sala ero scettico e prevenuto. La mia scelta è ricaduta su questo film italiano perché, come ho più volte evidenziato, la programmazione estiva soffre di una scarsità di titoli, al di là delle mega produzioni americane che invadono quasi la totalità delle sale, che costringe spesso ad assistere a proiezioni di film che altrimenti non avrebbero pubblico, di registi “minori” e spesso quasi interamente finanziati con il patrocinio del ministero della cultura perché nessuno scommetterebbe su questi progetti.

E invece sbagliavo. Almeno in parte. “Noi Anni Luce” è un interessante e fresco progetto realizzato dal bravo e capace Tiziano Russo. Dedicato quasi esclusivamente ad un pubblico giovane (“teen”), la narrazione è apparentemente agganciata al tema della malattia, che in effetti è la terza protagonista insieme alla brava Carolina Sala e al magnetico Rocco Fasano. Ma se si guarda l’intero progetto con un occhio più distante si può intravedere, e forse questo è uno dei suoi punti deboli, la struttura universale e spesso rimarcata in film americani di questo genere (“teen movies”) del mondo giovanile che si scontra violentemente con l’età adulta, caratterizzata per lo più da incomprensione, sofferenza, inadeguatezza, abbandono e somatizzazione della morte.

La brava Isabella Aguilar scrive una sceneggiatura equilibrata e perfettamente in sintonia con la lingua parlata dai ragazzi di oggi. Il giovane Tiziano Russo imbastisce una realizzazione, almeno nelle fasi iniziali, che riesce a comunicare in maniera sincera il disagio e la difficoltà della generazione “2000” a confrontarsi con il mondo adulto. Il film, proseguendo, si sfibra a favore di una sempre più invadenza di “cliché” e stereotipi che scardinano la storia facendola scomparire dietro una dose eccessiva di “romance” che lega i due protagonisti. Passare da un cortometraggio, da un video clip o da una serie televisiva ad un lungometraggio non è semplice, e qui Tiziano Russo, seppur ha realizzato un dignitoso prodotto in grado di squarciare l’oligarchia del cinema americano, ha mostrato la difficoltà di mantenere il punto per tutta la durata del film.

I due attori riescono quasi completamente a sorreggere anche le parti più fragili della narrazione. Sala e Fasano recitano ma non ti accorgi che lo stiano facendo. Sono giovani che si raccontano come se non ci fosse nessuno a filmarli. La Guzzanti e Troiano mostrano tutta la loro vulnerabilità recitativa se inseriti in un progetto come questo. La grammatica filmica è ineccepibile anche se le sbavature stilistiche sono parecchie. Nella seconda parte del film, in cui il viaggio e la ricerca del padre diventano “topos” a buon mercato, la narrazione si confonde con la litania viscerale della malattia e della morte che possono essere sconfitti dall’amore. Peccato, ma la carriera di Russo ha ancora davanti a sé una strada lunghissima.

Presentato al Giffoni, “Noi Anni Luce” attrae i ragazzi che sempre più fanno fatica ad essere ascoltati da un mondo vecchio e autoreferenziale che fa di tutto per auto conservarsi. L’esperienza di Russo nella regia di “Skam Italia” limita la capacità del regista ad estendere per un’ora e mezza l’intensità del racconto e delle emozioni legate ad esso, ma lo rende capace di seguire una traccia linguistica e stilistica chiara, genuina e comprensibile soprattutto ad un pubblico giovane e ancora sognatore.

Grazie al contributo del ministero della cultura, il biglietto costa tre euro e cinquanta, un motivo in più per andare al cinema ed assistere, tutto sommato, ad un rispettabile e sincera produzione italiana.

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RIVISTO

50 E 50, Jonathan Levine (50/50, Stati Uniti 2011, 100 min.).

Il cancro e la possibilità di guarire. La speranza che ci assale quando aspettiamo delle analisi che potrebbero rovesciare completamente le prerogative della nostra vita.

Levine dirige un interessante film sulla malattia e sulla capacità dell’uomo di interagire con essa. Un Joseph Gordon-Levitt capace in un dramma con accentuate tinte romantiche. Ben fatto e con un ottimo cast. Da rivedere.

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