Vive in tenda da agosto nei boschi di Vanzaghello. «Il mio sogno? Una casetta di legno»

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VANZAGHELLO – Ci sono un letto e un divano, le sedie e un tavolo con sopra un’accetta, un cavatappi e alcune camicie usate come stracci, la dispensa degli alimentari in barattolo; non mancano i panni stesi e un fornelletto. Due cagnolone dagli occhi dolcissimi girano tutt’attorno dividendosi fra le ciotole del cibo e i mastelli ricolmi d’acqua e ogni tanto si affaccia un gatto sempre diverso. Ma non è una casa. È lo spazio all’aperto ai margini di Vanzaghello (nella foto), appena celato dagli alberi spogli della stagione, dove dalla scorsa estate vive Massimo Callegari, 56 anni, originario di Magnago, che fino a poco tempo fa una casa vera ce l’aveva, ad Arsago Seprio, 150 metri quadri con un grande giardino, dove abitava con la seconda moglie e due figli.

Massimo lavorava a Malpensa, faceva il carico e scarico in pista, turni che iniziano alle 5.00 del mattino e sembrano non finire mai, fino a quando un incidente sul lavoro gli ha procurato una grave lesione a un polso e una invalidità che si è aggiunta a quella per il diabete. Ma non è stato quell’incidente la causa dei suoi guai, né la malattia e un infarto. E quando gliela si chiede, fatica per un attimo a superare la commozione per poi partire spedito con il suo racconto, calmo e preciso. Un racconto pieno di dissapori in famiglia e interventi dei carabinieri, fino alla denuncia e al processo. «Dopo aver ricevuto le carte dall’avvocato – racconta a Malpensa24 – ho cominciato a prendere tranquillanti, non sono più riuscito ad andare al lavoro. Non c’ero più con la testa, non mi hanno rinnovato il contratto e quindi non potevo più pagare l’affitto. Dopo un anno di Naspi ho lasciato la casa e sono venuto a vivere qui».

Unica compagnia, gli animali

“Qui” è un pezzo di terra recintato alla meno peggio che era di suo padre. Lui ci ha messo le sue poche cose, ha comprato qualche tenda da campeggio che riparano quanto possono, specie quando piove. Tiene pulito e in ordine, impresa non da poco visto che si è portato i suoi animali, Zaira e Missy in primis; poi i gatti, più una gallina che qualcuno gli ha buttato dentro il recinto e, di notte, due volpi, madre e figlia, che vengono a cercare cibo nei cortili delle villette vicine. Un quadro quasi idilliaco, se non fosse che basta starci un’ora per sentirsi intirizziti, anche se è giorno e non fa freddo.

È sereno, Massimo, nonostante tutto. «Non mi serve nulla. Certo, il sostegno che mi danno alcuni volontari per gli animali è prezioso. Non voglio essere un peso per il Comune: desidero solo riuscire a permettermi una casetta di legno, come quelle per gli attrezzi, per avere meno freddo, perché le stufette in tenda scaldano poco». L’acqua ce l’ha, già pensa a come allacciarsi alla corrente; mentre a poca distanza abita uno dei fratelli, che gli permette di lavarsi e fare il bucato. «Ma non voglio pesargli, perché non sta bene di salute. Ho un altro fratello e due sorelle, ma non hanno spazio per me oltre al problema degli animali: non voglio staccarmi da loro, di metterli in un canile non se ne parla. Così però, anche se potessi permettermela, nessuno mi darebbe una casa».

«Tutto è cominciato col Covid…»

Massimo vive nel suo pezzo di terra all’aperto da agosto. Convive con i problemi fisici («devo farmi operare a un’anca») e i brutti pensieri causati dal processo in corso per maltrattamenti in famiglia («accuse gravi ma infondate, mi hanno denunciato per una sciocchezza») e dalla lontananza dei figli, uno di 18 anni e la sorella di 20 avuti dalla seconda moglie e l’altro di prime nozze, ormai 34enne.

«Tutto ha cominciato a crollarmi addosso nel periodo del Covid. A stare chiusi in casa, senza poter uscire, né vedere gli amici, figli e moglie sono andati fuori di testa. Sempre attaccati al cellulare, mio figlio anche di notte, e a esaurire tutti i giga. Poi ho ripreso a lavorare, e non sapevo che cosa succedeva a casa. Mia figlia trascurava gli studi, mio figlio non andava a scuola ogni volta che non voleva e mia moglie lo assecondava. Da lì discussioni e litigi, anche accesi. Durante uno di questi, mio figlio ha chiamato un’amica e questa ha chiamato i carabinieri dicendo che stavano ammazzando una donna. Un finimondo. Dopo i carabinieri si sono attivati i servizi sociali, perché allora i figli erano ancora minorenni. Col tempo le cose sono peggiorate, tra una visita e l’altra dei carabinieri non c’era più dialogo, vivevamo da separati in casa. Mia moglie si è persa dietro maghe, rune e tarocchi. Se chiedevo spiegazioni mi trovavo i figli contro, pronti a chiamare il 112 dicendo che stavo sfasciando la casa, anche se non era vero. Si è aperto un baratro, avevo gli assistenti sociali contro. Io che ho iniziato a lavorare a 13 anni, facevo e impacchettavo i sacchi neri per l’immondizia e prendevo 25.000 lire a settimana. A 15 ho fatto lo stampatore tessile, da 8 a 11 ore al giorno, per cinque anni. Lo stipendio lo ritirava mio padre. Dopo il servizio militare ho ripreso a lavorare tenendomi i soldi, e dandogli quello che mi chiedeva».

Una vita difficile

Poi un matrimonio riparatore o quasi, e un secondo. Finito peggio del primo. «Nel 2020 ho anche tentato di darmi fuoco. Sono arrivati tutti, carabinieri, vigili del fuoco, polizia. Un maresciallo mi ha fatto ragionare e alla fine ho capito che non valeva la pena stare ancora con mia moglie, che si era rivolta a un’associazione di Busto Arsizio contro la violenza sulle donne. Che ha stilato un rapporto su di me senza avermi mai neanche incontrato. Mi chiedevo come e quando avevo fatto del male a mia moglie, ma non chiedevo più spiegazioni. Era completamente cambiata, usciva dicendomi bugie su dove andava, finché un giorno se n’è andata con i ragazzi dopo aver prelevato in banca parte dei soldi della mia buonuscita. L’ho denunciata per appropriazione indebita.

«Finora le cose in giudizio sono andate a mio favore, l’hanno colta in contraddizione e tante accuse sono state smontate in base ai fatti. Ma i miei figli vivono ancora con lei, e non vogliono parlarmi». Pur con tutti questi pensieri, il signor Callegari si preoccupa per gli altri. Ha aiutato una ragazza che viveva in strada, mentre parliamo manda un messaggio col cellulare a un’amica che ha appena avuto un lutto in famiglia. E guarda avanti. «I problemi sono tanti. Ho aperto una colletta su GoFundMe per comprare la casetta. E cerco ancora un lavoro, ma finché non termina il processo nessuno mi prenderà mai». Gli sono rimasti solo gli animali. Per forza che non si vuole separare da loro, a qualunque costo.

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