A Milano 22 per cento di giovani disoccupati. Colpa della pandemia

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MILANOLa pandemia ha scosso profondamente il mercato del lavoro in Italia e anche a Milano una delle città che notoriamente dà più possibilità lavorative. Molti giovani hanno perso l’occupazione, ad esempio a causa della sospensione degli stage e dei contratti di apprendistato e in particolare i ragazzi nella fascia di età compresa tra i 16 e 25 anni si ritrovano nei fatti fuori dalle dinamiche professionali.

Il tasso di disoccupazione giovanile nella metropoli è salito al 22% e le nuove generazioni avranno sempre maggiore difficoltà a trovare lavoro rispetto al resto della popolazione. Inoltre il clima di incertezza, le chiusure, la limitata attività di molti settori produttivi, i maggiori carichi familiari, le limitazioni agli spostamenti e, in generale, tutte le difficoltà emerse nel corso del Covid hanno sicuramente alimentato una spirale di sfiducia e ingrossato le fila di quanti, dopo aver perso un impiego, hanno rinunciato a cercarne uno nuovo. E’ quanto emerge, fra l’altro, da un’analisi del Centro studi di Assolombarda diffuso alla stampa.

In tanti rinunciano a cercare una nuova occupazione

La maggiore perdita d’impieghi si è verificata nei comparti che hanno riscontrato più flessioni in termini di fatturato e attività: sono calati di 18 mila unità gli occupati nei settori dell’attività commerciale fra cui alberghi e ristoranti e si registrano meno 9 mila addetti nell’attività dei servizi. La grande differenza nell’impatto di questa crisi sul mercato del lavoro è che – sottolinea la ricerca – in termini globali la diminuzione dell’occupazione si accompagna con una riduzione della disoccupazione: sono oltre 4 mila in meno i disoccupati nel capoluogo lombardo, con una conseguente discesa del tasso di disoccupazione al 5,7% (dal 5,9% nel 2019).  Diminuzione degli occupati e al contempo dei disoccupati sono solo apparentemente in contraddizione: questo avviene quando aumentano gli inattivi, quasi 50 mila in più nel 2020 che scoraggiati rinunciano a cercare una nuova occupazione. Nel 2009, invece, la perdita di occupazione si era quasi totalmente tradotta in disoccupazione.

Più colpiti i lavoratori a termine

Inoltre, più in linea con le tendenze nazionali, l’impatto della perdita di occupazione a Milano avviene – altro importante elemento che emerge dall’analisi – quasi esclusivamente sui lavoratori dipendenti (-19 mila). Ed è verosimile, tenuto conto del blocco dei licenziamenti e delle evidenze su base regionale e nazionale che anche nel capoluogo i più colpiti siano stati i rapporti di lavoro a termine, a causa del fermo prolungato delle attività causato del coronavirus.

Stringendo lo sguardo sui settori, se come detto la maggiore perdita occupazionale si concentra nei comparti commercio, alberghi, ristoranti e servizi, al contrario, aumentano i lavoratori nell’industria (+4 mila) e nel settore residuale che include logistica, costruzioni e agricoltura (+3 mila). Un anno di pandemia restituisce dunque per la metropoli la fotografia di un mercato del lavoro condizionato dalle conseguenze dello choc registrato dal sistema economico, con più penalizzati i lavoratori a tempo determinato, i giovani e i settori già evidenziati con ricadute sul piano della tenuta sociale da monitorare – viene osservato – con attenzione.

Concludendo, per Milano, da sempre motore della crescita dell’intero Paese, lo stop sia pur temporaneo dell’economia e la riduzione del numero degli occupati è un duro colpo. Tocca ora alle istituzioni pubbliche e private risalire la china valorizzando le caratteristiche proprie dei milanesi: la voglia di intraprendere, la capacità di fare sistema, l’essere in prima linea dell’innovazione e la solidarietà così importante proprio in questo momento.

Angela Bruno

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