Cassano festeggia l’arresto di Messina Denaro all’Amicorum con Impastato

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CASSANO MAGNAGO – Ieri, 16 gennaio, nel giorno dell’arresto del super-latitante Matteo Messina Denaro, il comune di Cassano ha celebrato la legalità dando la parola a Giovanni Impastato, fratello di Peppino, ucciso dalla mafia nel 1978 come ritorsione per il suo impegno giornalistico contro Cosa Nostra. Non solo la data risulta essere significativa, ma anche il luogo dell’incontro. La serata si è infatti svolta nella pizzeria dell’associazione Amicorum, attività gestita da ragazzi con la sindrome di Down e nata in locali sequestrati alla mafia. Un’ulteriore vittoria dello Stato, quindi, che ha dato lavoro a persone valide e volenterose.

L’incontro

Durante l’incontro, Giovanni Impastato ha parlato del fratello, delle sue idee e della sua lotta contro la mafia, lasciando il pubblico affascinato dal suo coraggio. «L’eredità di Peppino è stata raccolta da suo fratello – ha sottolineato Pietro Ottaviani, sindaco di Cassano – che porta avanti da più di quarant’anni le sue battaglie, divulgando e facendole camminare sulle gambe di tutti coloro che ne rimangono affascinati».
Il sindaco ci ha tenuto inoltre a ringraziare la dottoressa Raffaella Ferrari, dirigente dell’istituto comprensivo statale parziale Danti Alighieri, che ha organizzato la serata.  

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I cento passi

Peppino Impastato era un giovane animato dalla grande voglia di libertà. «Era figlio di un mafioso che aveva individuato nella mafia il suo nemico, era un ragazzo che è stato in grado di avviare in Sicilia una grande rottura storica e culturale, perché è avvenuta all’interno della sua famiglia ancora prima che all’interno della società». Giovanni Impastato non smette mai di ricordarlo e non lo ha fatto nemmeno ieri a Cassano.
Peppino, il giornalista siciliano ucciso in un agguato di mafia nel 1978, è divenuto immortale grazie al film “I cento passi”, ma soprattutto grazie al fratello che gira l’Italia raccontando chi era e cos’ha fatto per ribellarsi al sistema oppressivo della criminalità organizzata che loro due hanno subito sin da bambini attraverso il tentativo del padre di imporre in casa il codice comportamentale mafioso. «Peppino era un anticonformista, disubbidiente e coraggioso che si prendeva beffa dei mafiosi, descrivendoli come dei saltimbanchi anziché mitizzarli come facevano all’epoca anche molti giornalisti». 

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