C’era una volta il Dio Po

lega dio po
Il rito dell'ampolla alla sorgente del Po

Sarà vero, come sostiene l’ex ministro Roberto Castelli intervistato per Malpensa24 da Andrea Della Bella a Gemonio in occasione dell’adunata dei fedelissimi di Umberto Bossi, che la Lega non esiste più? Diciamo che non esiste più quella Lega là, quella delle origini, quella che voleva la secessione, accusava Roma di essere ladrona e offendeva i meridionali chiamandoli terroni. E’ morta sepolta sotto i colpi del trasformismo politico, magari necessario per adeguarsi ai tempi e cancellare certi scivoloni anche giudiziari del passato, prendendo una nuova direzione che guarda al Sud con rispetto e toglie dal logo il Nord.

Per dirla in un altro modo, quarant’anni dopo lo storico atto di fondazione del 12 aprile 1984, il successore di Bossi pensa a realizzare il ponte sullo Stretto e, fino a prova contraria, mette in subordine la questione settentrionale, cavallo di battaglia del movimento che, in scia al pensiero di Gianfranco Miglio (dimenticato anche lui?), ha tenuto banco per i primi vent’anni. E forse di più, perché Bossi e soci, mossi da un sorprendente velleitarismo, cominciarono a tessere la tela con largo anticipo, prendendo spunto dall’autonomismo piemontese e veneto. Ce lo ricordiamo il Senatur nei primissimi anni Ottanta salire la scala interna della redazione gallaratese della Prealpina: volantino per l’autonomia posato sulla scrivania, sorriso sornione, richiesta quasi supplichevole (non da Bossi) in dialetto stretto: “Te mel’ metti su?” (Me lo pubblichi?).

Un’intuizione, quella del Senatur? Può essere, ma in questi giorni in cui si festeggia il quarantesimo compleanno bisognerebbe andare un tantino più a fondo della questione, rileggere, ad esempio, “Dio Po, gli uomini che fecero la Padania” di Gian Antonio Stella, lavoro del lontano 1996, che, nel mezzo della fioritura di volumi celebrativi (ne è in arrivo anche uno scritto da Matteo Salvini), rappresenta una voce fuori dal coro. Perché è affrancato da contaminazioni di sorta, racconta con una giusta dose d’ironia quello che altri non hanno più osato raccontare. Insomma, dice papale papale come andò davvero all’inizio, con nomi e cognomi, personaggi usciti di scena ma che, davvero, contribuirono a formare la Lega Nord dell’Umberto in canottiera e del celodurismo come cifra a sostegno. Borghezio, Boso, Babbini, Pagliarini, Farassino, Formentini, Speroni e tanti altri. Stella non fa l’inchino a nessuno. Scrive Indro Montanelli nella prefazione: “L’autore non deride i personaggi, le situazioni, gli appelli e le costituzioni (…). Si limita a raccontare ciò che ha visto, ha letto o ha sentito”. Ed è molto, tra giornalisti e scrittori che commentano, spiegano, pontificano, a volte insultano, altre volte adulano e si arruffianano, ma raramente si attengono ai fatti e si limitano a descrivere.

Certo, poi la faccenda ha preso tutta un’altra piega, oggi la Lega ha il marchio di Matteo Salvini, guarda verso destra, per qualcuno (Giuseppe Leoni) ha imboccato una deriva addirittura fascista benché fosse Roberto Maroni che sosteneva come il movimento, fin dall’inizio, fosse leninista, cioè non ammetteva i dissidenti (“Bossi non ha mai usato i guanti”). Oggi la Lega è politicamente un’altra cosa, che sia meglio o peggio di allora lo possono dire soltanto gli elettori. Il resto appartiene al passato, appunto quello del Dio Po, delle ampolle e delle adunate sul “grande fiume”, della Padania inventata da Bossi, degli elmi con le corna ai raduni di Pontida. Che ancora resistono, per la verità, momento di verifica identitaria e di slancio politico, ma la sostanza non è più la stessa. Che piaccia o no, il Dio Po, sembra la citazione di un componimento (poco) lirico, di un tempo che non tornerà più.

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