Come si diceva una volta: la saggezza del dialetto nel calendario 2023 di Cuvio

La copertina del calendario: la Valcuvia negli anni ’40

CUVIOIl dialetto porta con sé numerosi modi di dire e perifrasi, capaci di esprimere un concetto o un’immagine usando parole indirette e magari meno offensive o scurrili. Detti che spesso non hanno una corrispondenza diretta nella lingua italiana, ma che sono rimasti nel parlato comune. A loro è dedicato il calendario storico di Cuvio per l’anno 2023.

Taccuino numero 24

Si rinnova così l’immancabile tradizione del “Taccuin de Cüvi”, che a partire dall’anno 2000 rappresenta l’appuntamento annuale per un tuffo nella storia e negli usi e costumi del comune di Cuvio e dell’omonima valle. Dopo l’edizione 2022 dedicata agli antichi mestieri per il 2023 si è così scelto di raccontare i detti del passato. A promuovere l’almanacco ancora una volta Pro loco e Banda di Cuvio. Autori Giorgio Roncari e Graziano Tenconi.

Me se diseva ‘na volta

È proprio questo il titolo del 2023: “Come si diceva una volta”, se ci fosse il bisogno di una traduzione. Da gennaio fino a dicembre mese dopo mese vengono proposti e spiegati tanti modi di dire popolari, dai più comuni che chiunque ha sentito citare in famiglia o dialogando con le persone più anziane fino a quelli meno noti e più curiosi. E così “Vess un Toni” sta a indicare una persona sciocca (il Toni era il pagliaccio del circo), mentre “Te se un barlafus” descrive un perditempo e fannullone oppure anche degli oggetti inutili: il barlafuso era una piastrina di poco valore che girava sul fuso. E poi il celeberrimo “Se l’è mia süpa, l’è pan bagnà”, ovvero due modi diversi di chiamare la stessa cosa.

Una domenica pomeriggio al circolo di Cuvio negli anni ’50 (foto tratta dal calendario)

L’origine dei detti

Quello che salta subito all’occhio scorrendo le pagine del calendario è proprio l’origine di detti tramandati e poi diventati di uso comune: nella gran parte dei casi i modi di dire sono nati dalle azioni quotidiane della vita semplice di campagna. Ne è un esempio “Mett ul carr denanz ai böö”, una metafora agricola per indicare come non sia particolarmente furbo fare qualcosa senza pensare alle conseguenze. Oppure “Tiràa fö la paja dul cü”: un tempo i materassi erano imbottiti di paglione e chi poltriva troppo poteva anche correre quel rischio. Un altro detto, “iperlocale” è proprio il caso di dire, è “Pagàa cui danee du la banca de Cavona”, ovvero non pagare più. A Cavona (frazione di Cuveglio) abitava infatti a inizio ‘900 un impiegato della banca di Varese, a cui gli abitanti della valle avevano affidato i propri risparmi. Ma la banca poi fallì e molti ci rimisero gli averi di una vita. Una delle tante “chicche” che si possono scoprire leggendo il calendario.