Zona rossa, ma non siamo idioti

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Per quale partito voterebbe il coronavirus? Ce lo domandiamo alla luce dello scontro politico in atto nel nostro Paese fin dall’insorgere dell’epidemia. Il fitto scambio di accuse tra la maggioranza giallorossa e il centrodestra testimonia il diffuso e trasversale tentativo di “fare cassa”, cioè di conquistare consensi attorno alla gestione dell’emergenza sanitaria. Un botta e risposta improduttivo per una situazione che – persino scontato ribadirlo – meriterebbe uno sforzo comune nel tentativo di limitare i danni. Perché risolvere il problema, al momento non è possibile. Dovremmo esserne tutti consapevoli, ma spesso ci comportiamo come se non lo fossimo. E la politica dà una mano nel confonderci le idee, nel creare incertezza, nell’invitarci o a sottovalutare il contesto sanitario e sociale o, al contrario, a provocare allarmismo e paure.

Come stanno veramente le cose? Nemmeno i virologi e gli esperti in materia ce lo sanno dire. L’impressione è che alcuni di loro parlino a seconda delle appartenenze partitiche piuttosto che su inoppugnabili basi scientifiche. Un’impressione, per carità, ma tutt’altro che personale.

Intanto, alla Camera dei deputati scoppia la rissa durante l’intervento dell’onorevole piddina Lia Quartapelle, che attacca il governatore Attilio Fontana e la Lega della Lombardia, accusandoli di aver promosso una campagna denigratoria contro il governo per l’inclusione della regione in zona rossa. L’onorevole leghista Igor Iezzi non riesce a contenersi e viene espulso dall’aula. Chi ha ragione? Chi ha torto? Non c’è bisogno di essere politicamente schierati per domandarsi come mai la Lombardia sia finita in area ad alto rischio e la Campania, con minori tutele sanitarie e con un indice di contagio molto alto, in una fascia con meno restrizioni.

Né bisogna dichiararsi di destra né di sinistra per sorprendersi di provvedimenti che ci vietano di andare a far visita ai parenti più stretti ma ci consentono, ad esempio, di recarci in profumeria, negozi che possono rimanere aperti durante il lockdown, benché in zona rossa. I negozi di abbigliamento no, quelli di computer sì. Qual è la ratio? E che cosa dire di ristoranti e bar, obbligati a munirsi di protezioni di sicurezza nelle scorse settimane e adesso costretti a chiudere per decreto. Lockdown soft, l’hanno definito. Sarebbe più giusto catalogarlo come contradditorio o, se si vuole, schizofrenico.

Così la protesta sale. Benché, proprio in Lombardia, siano molti i commercianti che, pur protestando, alla fine si adegueranno. Come ci adegueremo tutti noi, affidandoci al senso di responsabilità, imprescindibile in un simile contesto. Nessuno dubbio, lo sanno anche a Roma. Come sanno come sia più difficile far rispettare certi provvedimenti dalle parti del Maschio Angioino. Per questo si può essere inflessibili a Milano, un po’ meno a Napoli. Considerazione che non presuppone un’appartenenza politica, semplicemente uno spunto d’analisi. Tanto per non passare per idioti.

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