Dimezzati gli sbarchi, ma in Italia c’è uno straniero ogni dieci abitanti

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di Angela Bruno

ROMA  – Il pianeta immigrazione è una realtà complessa, un universo che deve essere conosciuto per essere ben compreso. E in questo senso è particolarmente importante il XXV Rapporto sulle migrazioni dell’Ismu, Iniziative e studi sulla multietnicità, un ente di ricerca scientifica indipendente.

Sei milioni e duecentomila presenze

Tra i tanti dati ne emergono due particolarmente rilevanti. Primo gli stranieri residenti in Italia sono 6 milioni e 222mila  – stima al primo gennaio 2019 – su una popolazione di 60 milioni e 360mila residenti, ossia oltre uno straniero ogni 10 abitanti. Rispetto alla stessa data del 2018, l’incremento è stato dell’1,9%, dovuto in gran parte alla crescita della componente irregolare (+5,4%), pari a 562mila unità, che però appare ridimensionata rispetto al 2017 (+8,6%) e al 2016 (+12,9%). Tra i presenti l’84% è regolarmente iscritto in anagrafe, il 6,5% è regolare ma non iscritto in anagrafe, mentre il 9% è privo di un valido titolo di soggiorno.

Secondo nel 2019 c’è stato un importante rallentamento degli sbarchi, che sono stati 10.707 al 28 novembre. Si tratta di una flessione pronunciata, pari a -53,47% rispetto allo stesso periodo del 2018 e a -90,85% rispetto allo stesso periodo del 2017. A tale riduzione di sbarchi non è seguita una proporzionale contrazione delle richieste di asilo: da agosto 2018 infatti le richieste di asilo superano gli sbarchi.

Sul primo tema, ripercorrendo l’andamento dei flussi migratori, negli ultimi 25 anni la popolazione straniera è cresciuta da quasi 922mila residenti (1998) a come detto 6 milioni e 222mila presenti (regolari e non). Nell’ultimo quarto di secolo la presenza dei migranti si è consolidata, stabilizzandosi. Basti pensare che le acquisizioni di cittadinanza dal 1998 al 2018 (incluso) hanno raggiunto un totale di 1.365.812. Il radicamento della popolazione immigrata ha inciso su diversi aspetti del nostro Paese, dalla scuola al mercato del lavoro. Il trend degli alunni con cittadinanza non italiana nell’ultimo quarto di secolo ha attraversato tre fasi (di avvio, accelerazione, stasi): dalle 50 mila presenze dell’anno scolastico 1995/96 si è arrivati alle 842mila – ormai stabili – del 2017/18. I lavoratori stranieri da presenza invisibile e silenziosa sono passati ad essere una componente strutturale del sistema produttivo. Il quadro che emerge da questi ultimi 25 anni porta ad affermare che “per la stragrande maggioranza dei migranti residenti in Italia, l’integrazione procede silenziosamente e in modo sostanzialmente positivo, anche se non si può negare che esistono ostacoli e zone d’ombra”.

Cresce il numero degli occupati

Sul fronte lavorativo, si segnala che la popolazione straniera in età da lavoro (tra i 15 e i 64 anni) nel 2018 in Italia è giunta a sfiorare i 4 milioni e che gli occupati sono circa 2 milioni 455mila, oltre 32mila in più rispetto all’anno precedente. Gli stranieri rappresentano il 10,2% della popolazione in età attiva, il 10,6% degli occupati, il 14,5% dei disoccupati e l’8,6% degli attivi. Il tasso di disoccupazione – nonostante la lieve contrazione dell’ultimo anno – è più alto tra gli stranieri (14%) che tra gli italiani (10,2%). Si segnala che la concentrazione nei lavori meno qualificati rende gli stranieri particolarmente numerosi tra i working poor: nel 2018 i lavoratori extracomunitari hanno percepito una retribuzione media annua pari a 13.992 euro, inferiore del 35% a quella del complesso dei lavoratori. Passando al sistema scolastico italiano, dopo lo stop a “la crescita zero del 2015”, il numero degli alunni stranieri con cittadinanza non italiana ha ripreso ad aumentare crescendo nell’anno scolastico 2017-18 di 15mila unità, a fronte di una continua flessione degli alunni italiani, che invece sono diminuiti di 93mila presenze. In totale gli alunni stranieri sono 842mila, pari al 9,7% del totale degli iscritti nelle scuole italiane, dall’infanzia alle secondarie di secondo grado. Si stima che al 1° gennaio 2019 la presenza complessiva delle seconde generazioni in Italia di età compresa tra gli 0 e i 35 anni (nate in Italia da almeno un genitore straniero o giunte minorenni) è di 2.825.182.

Le presenze irregolari

Sul secondo argomento – gli sbarchi – Ismu rileva che passando all’analisi degli esiti delle richieste di asilo si evidenzia che la percentuale dei dinieghi è passata dal 30% delle decisioni di prima istanza del 2013 all’80% nei primi sette mesi del 2019. La proporzione dei dinieghi, crescente negli anni, ha fatto registrare un ulteriore rialzo a seguito dell’abolizione della protezione umanitaria. Tale abolizione “avrà un significativo impatto sulla presenza irregolare, di cui però non è quantificabile con sicurezza l’orizzonte temporale, grazie alla non retroattività della norma che presumibilmente darà luogo a sentenze positive in fase di appello”.

Italiani favorevoli alla chiusura dei porti

Più in generale l’ente ha preso in esame anche gli atteggiamenti degli italiani nei confronti dell’immigrazione: dalla maggioranza dei sondaggi è emerso che oggi i cittadini italiani sono per la maggior parte favorevoli alla chiusura dei porti. È significativo segnalare come all’inizio del 2018, l’orientamento fosse differente: il 49% degli italiani riteneva che l’accoglienza era da privilegiare rispetto al respingimento, mentre solo il 44% era a favore dei porti chiusi. Ormai, però, l’immigrazione è diventata una delle principali questioni dibattute non solo in Italia ma anche nell’Unione europea e nei singoli Paesi che la costituiscono.

Dopo più di trent’anni di ricerche sul campo e di report epidemiologici, qual è oggi lo stato di salute degli immigrati? Nel complesso gli immigrati non hanno condizioni di salute necessariamente peggiori rispetto agli italiani, ma presentano dei fattori di rischio dovuti agli ostacoli che trovano nell’accesso ai servizi sanitari: dall’inconsapevolezza dei loro diritti alle barriere linguistiche, culturali e giuridiche, fino alle fragilità psicologiche. Insomma davvero un mondo complesso che l’Ismu analizza e che va analizzato senza prendere i dati e le valutazioni dell’istituto acriticamente.

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