Gallarate, dissolte le ombre rimane il tempo perduto

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Il Municipio di Gallarate

Dopo le sentenze di assoluzione per molti imputati nel processo Mensa dei poveri, c’è in giro una sorta di delusione diffusa in alcuni settori ben definiti. Come se alla vigilia fosse scontato attendersi condanne senza se e senza ma. Invece, i giudici hanno deciso diversamente per un consistente numero di persone coinvolte nel giudizio. Nella fattispecie per il sindaco di Gallarate, Andrea Cassani, e per i funzionari comunali chiamati in causa in uno dei filoni dell’inchiesta sfociata nel dibattimento di primo grado al Tribunale di Milano. Palazzo Borghi e le sue componenti politiche e tecniche risultano estranee agli illeciti ipotizzati dai pm nella redazione del piano di governo del territorio e nelle diverse pratiche urbanistiche.

Una verità processuale che dovrebbe essere accolta con soddisfazione dall’intera città, a cominciare dai partiti d’opposizione che, sul versante politico, avevano posto legittimi dubbi alla luce delle determinazioni, poi confutate in sede di giudizio, dalla magistratura. Invece c’è chi storce il naso, come fosse dispiaciuto che in Comune a Gallarate, almeno fino a prova contraria, si viaggi nella legalità. E nonostante il sistema fraudolento che volteggiava attorno al Municipio e che, a quanto pare, aveva Nino Caianiello come dominus e nell’ex assessore all’Urbanistica, Alessandro Petrone, il suo terminale istituzionale. Petrone ha patteggiato la pena, confermando indirettamente che anche in Comune qualcosa di poco chiaro stava per accadere o era già accaduto, ma senza la complicità né del sindaco, né dei suoi colleghi di giunta, né dei dirigenti, così come si evince dal dispositivo dei giudici milanesi.

Altra cosa sono i giudizi politici sull’azione amministrativa, sulle deliberazioni e le scelte che vengono attuate dall’esecutivo e dalla maggioranza di centrodestra: si può essere d’accordo oppure no, si possono confutare, discutere, contestare all’interno del democratico confronto (ci mancherebbe altro). Ma sono situazioni di normale dialettica attorno alle dinamiche appunto amministrative. Ad esempio, sono quattro anni che in Comune a Gallarate non si parla più apertamente di questioni urbanistiche, quasi fosse un argomento tabù dopo lo tsunami giudiziario che scoperchiò la corruzione di una certa parte politica, di alcuni personaggi che la componevano, del “circolo di amici” che teneva in scacco o, perlomeno, vi provava, l’attività pubblica cittadina e non solo.

Gallarate ha oggi bisogno di recuperare un progetto di sviluppo complessivo, che vada oltre gli interventi a spot, che disegni una visione futura, sostenibile con le moderne esigenze della terza città della provincia di Varese, al centro di importanti vie di comunicazione, dirimpetto a Malpensa, caratterizzata da una decisiva densità industriale e produttiva. La sensazione è che in questi ultimi anni si siano tralasciate opportunità proprio in campo urbanistico, per i timori a metter mano a un argomento troppo delicato, scottante, per gestirlo come se nulla fosse mai accaduto. C’è però assoluto bisogno di recuperare il tempo perduto, al di là dei possibili alibi; soprattutto oggi che si è usciti dall’imbarazzo di un’inchiesta e di un processo pesanti per la sostanza e l’immagine dello stesso primo cittadino e dell’intero esecutivo. Soprattutto oggi che non ci sono più i condizionamenti di un malaffare neanche endemico, per molti aspetti addirittura sfacciato, che ha gettato ombre sinistre sull’onestà e la correttezza di un’intera classe politica. Ombre che il tribunale ha dissolto, se non in toto per un’ampia parte.

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