Il caso Gallarate, Forza Italia provinciale e il partito che verrà

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Disinnescata la crisi di giunta al Comune di Gallarate. Nella foto, Palazzo Borghi

Senso di responsabilità istituzionale o semplice arrendevolezza di fronte alla Lega? E’ la domanda che ci si pone all’indomani della querelle politico/amministrativa di Gallarate: il sindaco Cassani pone l’aut aut a Forza Italia, minaccia di espellerla dalla maggioranza di centrodestra se non zittisce il coordinatore cittadino Nicola Mucci, reo di aver ribadito in una intervista la necessità di avviare lo studio di un nuovo piano di governo del territorio, il vecchio piano regolatore. Mucci aveva già esternato contro la maggioranza qualche mese fa, quando a Duemilalibri era stato invitato Marco Travaglio, nemico giurato dei berlusconiani. Interventi che avevano infastidito, e non poco, i rappresentanti leghisti in giunta, in testa a tutti il primo cittadino. Che oggi, dopo l’ultima uscita del suo predecessore Mucci, ha messo gli alleati al muro: o con me o contro di me. E loro si sono subito allineati.

Ora, che Gallarate abbia bisogno assoluto di un nuovo strumento urbanistico è palese, Mucci non ha detto un’eresia ma una scontata verità. Dal giorno in cui Palazzo Borghi è precipitato nelle spire dell’inchiesta Mensa dei poveri, sembra che gli amministratori civici, dopo essersi scottati con l’acqua calda, temano di scottarsi anche con l’acqua fredda, e hanno accantonato il discorso urbanistico, fonte di guai giudiziari. Peraltro brillantemente risolti, per quanto concerne Cassani, con l’assoluzione con formula piena: con il malaffare non c’entra neanche di striscio.

E allora? Il problema, più che politico, ci pare di natura personale, Cassani e Mucci non si prendono, l’uno non vuole interferenze e chiama il suo alleato/avversario “il professorino”; l’altro, forte del suo passato da sindaco, sa di essere tra i pochi della schiera amministrativa del centrodestra gallaratese a contare su specifiche competenze. E dice la sua. Sbaglia nella forma? Può essere, la sostanza però è un’altra cosa. E non sempre è sbagliata.

Rimane da capire Forza Italia, la fretta con cui i vertici provinciali, chiamati in causa, hanno alzato bandiera bianca, sottomettendosi a Cassani per evitare di finire all’angolo. Resta da capire anche Nicola Mucci: come lo conosciamo non è mai stato uno che abbia tanto facilmente piegato la testa. Nel caso specifico l’ha piegata, ubbidendo al “provinciale” che l’ha richiamato come uno scolaretto indisciplinato, sconfessandolo.

Ci sfugge qualcosa, se un partito in ripresa a livello nazionale, com’è Forza Italia, cala le braghe di fronte al sindaco leghista che alza la voce, significa soltanto due cose: o sa che Mucci ha torto su qualcosa che riguarda la sua sfera professionale e che non viene detto, o in provincia di Varese non è più il partito arrembante di una volta. Forse l’una e l’altra cosa, e a un mese dalle elezioni non è una grande attestazione di sicurezza politica. La questione gallaratese finisce qui, ma da come sono andate le cose avrà conseguenze su tutta la provincia. Quanto meno sulla considerazione per un partito che, localmente, non detta più la linea, ma se la fa dettare. Colpa delle inchieste giudiziarie che l’hanno decapitato in passato, colpa della nuova classe dirigente che, come si dice, deve ancora farsi le ossa. Giratela come vi pare, ma la situazione ci pare essere proprio questa. E il caso Gallarate ne è la prova provata.

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