Il Quad, Xi Jinping e le difficoltà dell’economia cinese

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di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, ormai sapete che seguo con grande attenzione gli avvenimenti che riguardano la regione dell’Indo-Pacifico poiché sono convinto, con la speranza di sbagliarmi, che la prossima grave crisi internazionale avverrà proprio in questo angolo di mondo. Intanto quando si parla di Indo-Pacifico, che ha una precisa connotazione geografica e politica, ci riferiamo alla “congiunzione tra i due oceani”, entità definita per la prima volta nel 2007 in occasione della visita del Primo Ministro giapponese Abe in India.

La definizione è stata poi integralmente adottata dalla presidenza americana Trump quando, nel 2017, è stato rilanciato il Quadrilateral Security Dialogue (QUAD) tra USA, India, Giappone e Australia con la prospettiva di un possibile contenimento delle mire espansionistiche da parte della Cina in quest’area. Ricordo che già con la presidenza Obama, nel 2011, era stata proposta l’idea di ostacolare l’invadenza e di premere sull’economia cinese nel Pacifico sia con il rafforzamento della presenza della marina americana sia con l’accordo regionale di libero scambio, il Trans-Pacific-Partnership (TPP). A ben vedere non mi pare che questa iniziativa abbia avuto un grande successo.

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Ivanoe Pellerin

Con l’amministrazione Biden il Quad è stato promosso da summit ministeriale a summit dei capi di governo con cadenza regolare a partire dal 2021. Contestualmente, alzando il livello di confronto, i paesi aderenti si sono spinti oltre la sola discussione di questioni di sicurezza militare e hanno ampliato il raggio d’azione del Quad a tutti gli ambiti di maggior rilievo per la politica internazionale, quali la lotta al cambiamento climatico e alla pandemia e la messa in sicurezza delle catene globali del valore. Il concetto adottato per consentire l’ampliamento dell’ambito di competenza del Quad dai soli aspetti militari a tutte le principali questioni internazionali è quello del cosiddetto “Spirito del Quad” che si fonda sulla volontà dei membri di perseguire la creazione di una regione che sia “libera, aperta, inclusiva, sana, ancorata dai valori democratici, e non vincolata dalla coercizione”. Sulla base di questi princìpi, parallelamente al Quad, è stata creata una iniziativa diplomatica denominata Quad Plus che ha favorito la partecipazione agli incontri di altri paesi afferenti all’area quali Corea del Sud, Vietnam e Nuova Zelanda.

Non stupisce quindi che, proprio nel contesto del recente summit del Quad, si sia discusso non solo di libertà di navigazione e di altri temi di stretto valore militare, ma soprattutto dell’approvazione di un accordo sulla creazione di una catena di produzione per i semiconduttori che sia stabile e sicura. Al riguardo è bene ricordare che i circuiti integrati rappresentano il vero tallone d’Achille di Pechino circa la qualità e la quantità. La produzione interna, infatti, non è in grado di gareggiare con il livello tecnologico offerto dalle fabbriche taiwanesi, coreane e americane e proprio i circuiti integrati costituiscono la prima voce dell’import cinese con un valore di 350 miliardi di dollari nel 2020, ben oltre i 176 miliardi di dollari della seconda voce, il greggio.

A questo proposito occorre ricordare, contro la diffusa vulgata dell’affermazione vittoriosa dell’economia cinese che, al contrario, qualcosa scricchiola all’interno del gigante asiatico. Xi Jimping, il grande “Rottamatore” che ha compiuto 70 anni il 15 giugno, sta incontrando notevoli difficoltà proprio a causa dell’importante frenata dell’economia. La Camera cinese, i cui 2.980 rappresentanti afferiscono di fatto al Partito Comunista saldamente governato da Xi, ha fissato per il 2023 un incremento del Pil di appena il 5%, un dato molto molto modesto giustificato agli occhi del mondo dalla “necessità di ricercare equilibrio nella stabilità”.

A pesare sull’economia cinese è la fuga delle attività produttive straniere. A causa dell’embargo sui prodotti tecnologici voluto fortemente dal presidente Biden, gli investitori hanno iniziato a traslocare verso lidi più “tranquilli” come l’India, la Thailandia, il Vietnam. Nella seconda metà del 2022 gli investimenti stranieri nella repubblica popolare cinese sono crollati da 150 a 40 miliardi di dollari, il 73% in meno rispetto al 2021. Per esempio, la Samsung sudcoreana ha spostato una gran parte dell’apparato produttivo in Vietnam; i suoi dipendenti in Cina sono calati da 60.000 presenze a 15.000. Un’altra industria americana, la Ford, sta già tagliando la produzione sul suolo cinese e traslocando la produzione delle batterie in Michigan. Una grande impresa americana, la Solar Energy Industries Association, che si occupa di fotovoltaico, ha annunciato un grande piano di rientro delle produzioni negli USA.

Non è proprio un “fuggi fuggi” ma poco ci manca. Il dittatore cinese in dieci anni ha raddoppiato le spese militari giunte ora fino ad oltre 300 mld di dollari ed ha intenzione di accrescerle ancora. Non dimentichiamoci che Xi vuole fronteggiare la marina americana proprio nell’Indo-Pacifico e minaccia costantemente con straordinarie manovre militari Taiwan. Vi sono altri problemi emergenti nella società cinese che peseranno non poco sulle casse dello stato come la denatalità e l’emergente invecchiamento della popolazione. Di questo, come dice il vecchio saggio, vi parlerò prossimamente.

Cari amici vicini e lontani, tra lo spirito del QUAD e le difficoltà economiche del dragone la politica cinese nell’Indo-Pacifico è tutta da indovinare. Io sono ottimista, però …

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