Kennedy, sessant’anni dopo. La sua fu vera gloria?

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Dallas, 22 novembre 1963: un'immagine passata alla storia

di Ivanoe Pellerin

Il 22 novembre 1963 è una data da ricordare non solo per l’assassinio del presidente John Fitzgerald Kennedy ma anche perché quel giorno l’America perse l’evidente capacità di credere in sé stessa e la convinzione di vedere la realtà del paese quale essa era e la storia che poi è seguita, dal Vietnam al fallimento del salvataggio degli ostaggi a Teheran, lo conferma ampiamente. Occorrerà aspettare il 4 novembre 1980, l’elezione di Ronald Reagan, perché gli USA tornino credere nel futuro con convinzione ed ottimismo. La vicenda dell’attentato è stata ampiamente dibattuta e, se ce ne fosse bisogno, possiamo rivedere il film di Oliver Stone.

JFK era il 35° presidente della storia americana, il presidente più giovane degli USA, sicuro di sé (anche troppo), amante delle cose belle (e delle donne), forse un po’ arrogante, che voleva piacere a tutti. Ha fatto cose molto buone e cose meno buone, come capita ai molti leader di questo mondo. Molti della mia generazione ricordano con un brivido di paura la crisi dei missili di Cuba nel 1962 e di come Kennedy (e Krusciov) sia riuscito a tenere testa all’URSS ed a coloro che volevano un confronto militare. Inoltre è giusto ricordare come Kennedy annunciò la sua politica fortemente innovatrice alla convention democratica di Los Angeles, il 14 luglio 1960, chiamandola “Nuova Frontiera”. Con quest’espressione sintetizzò la sua azione di governo con un elemento nuovo di sfida e di orgoglio: “… il primato americano è minacciato, bisogna riscoprire il coraggio dei pionieri che si aprirono la strada verso ovest, bisogna sacrificare il presente a vantaggio del futuro”.

Purtroppo non fu esattamente così e la mal gestita vicenda della baia dei Porci (a Cuba) e l’inizio in sordina della guerra del Vietnam, che ha portato una giovane generazione al disastro, ne hanno minato la figura. Certo rimane il grande ottimismo, il forte credo nella libertà e nella democrazia testimoniato molto felicemente dal discorso di fronte al Rathaus Schoenberg, il municipio di Berlino, quando nella primavera di quel tragico 1963, pronunciò le famose parole: “Ich bin ein Berliner”. Ancora oggi alcuni sostengono che proprio in quel momento l’unione ideale dei due continenti rappresentò per la prima volta la cultura ed i valori di tutto l’Occidente.

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Ivanoe Pellerin

Non credo alle ipotesi fantasiose di un complotto e, solo per quelli che hanno perso quella memoria, vi faccio rapidamente la cronaca di quel giorno “da cani”. Già nei primi giorni di quel triste novembre tutto l’entourage del presidente era poco convinto dell’utilità della sua presenza a Dallas ritenuta ostile ai democratici ed alla rielezione di Kennedy. CIA e FBI erano in allarme ed erano giunte minacce da varie direzioni ma il presidente non voleva rinunciare a quella trasferta, considerando quella città del Texas una tappa importante della sua campagna. Allora non esistevano le considerazioni e le protezioni che oggi ci paiono normali e la macchina scoperta era per Kennedy un elemento fondamentale e poi quel giorno a Dallas c’era il sole!

Il corteo presidenziale procedeva a non più di 25 km all’ora; sul sedile posteriore della Lincoln vi erano JFK e la moglie Jacqueline, davanti il governatore del Texas John Connally e la moglie Idanell Brill; guidava lentamente un agente dei servizi; un altro, Clint Hill, assegnato alla sicurezza della first Lady, che poi rilascerà un’interessante intervista al settimanale Panorama il 13 novembre 2013, era in piedi sul predellino sinistro dell’autovettura che seguiva. Il corteo svoltava in Elm street e poi in Dealey plaza, di fronte al tristemente famoso deposito di libri della Texas School.

Lee Harvey Oswald era un ex marine con la passione per Castro; era un ottimo tiratore, come testimoniato proprio dai documenti dell’esercito. La limousine presidenziale, costretta a rallentare dalla curva, si trovava tra i 50 e gli 80 mt. dal deposito di libri dove, sei piani più in alto, Oswald aveva preso posizione. Per quel tiratore una distanza facile, facile. Oswald non poteva mancare il bersaglio.

Il primo colpo arrivò alle 12.29 e subito dopo un secondo. JFK si portò le mani alla gola. La macchina rallentò, non si capì mai perché. Il terzo colpo fece esplodere la testa del presidente. L’agente Clint saltò giù dalla macchina di scorta e corse verso la limousine che in quel momento accelerò. Connolly ferito crollò fra le braccia della moglie, coperta di sangue, mentre Jacqueline saliva sul cofano posteriore per raccattare pezzi del cranio del marito. Un momento drammatico e spaventoso. La piazza precipitò nel caos. Finalmente il corteo di macchine si diresse a tutta velocità verso il Parkland Memorial Hospital, inutilmente.

Al sesto piano del deposito di libri venne trovato un fucile Carcano modello 91 e tre bossoli sul pavimento. Oswald venne ricercato e un agente di pattuglia, J.D. Tippit, cercò di fermarlo ma venne freddato a colpi di pistola (pochi ne parlarono). Finalmente fu arrestato in un cinema vicino. Non fu mai processato dato che due giorni dopo venne assassinato a sua volta nel seminterrato della stazione di polizia da Jack Ruby, proprietario di un night club con legami mafiosi. Fu avanzata anche la teoria di un quarto colpo “il proiettile magico”, ma di un presunto secondo tiratore non fu mai trovata traccia. Le analisi del famoso filmato di Abraham Zapruder (l’unico esistente dell’attentato) confermarono i risultati della commissione Warren, incaricata di far luce sugli avvenimenti di quel giorno.

Il pensiero politico di Kennedy si riallacciava a quello dei presidenti Wilson e Roosevelt, aggiornato ovviamente col riferimento alla Nuova Frontiera: spirituale, scientifica e culturale. Questa sua politica era riassunta nella celebre dichiarazione durante il discorso di insediamento: «Non chiedete cosa il vostro Paese può fare per voi; chiedete cosa potete fare voi per il vostro Paese». Cari amici vicini e lontani, fu vera gloria? Ricordate il famoso film di John Ford del 1962, interpretato da James Stewart e John Wayne, “L’uomo che uccise Liberty Valance”? Compare una famosa frase che suona più o meno così: “…qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda”. È andata così?

pellerin kennedy dallas – MALPENSA24