La cinica lotteria delle regionali

Opposti destini elettorali per Francesca Brianza e Luca Ferrazzi

Francesca Brianza, più di 5000 preferenze, fuori dal Consiglio Regionale. Luca Ferrazzi, meno di 500 consensi personali, eletto al Pirellone. Bastano questi due dati per fotografare una evidente contraddizione della legge elettorale regionale, che a volte definisce gli eletti ad mentulam canis, come direbbe Catullo.
Non è la prima volta: già cinque anni fa l’allora capolista di Fontana Presidente Giacomo Cosentino riuscì a centrare l’elezione come più votato in una lista che aveva preso poco meno del 4% in provincia di Varese, e Forza Italia, con il triplo dei consensi, aveva portato al Pirellone lo stesso numero di consiglieri, uno. Stavolta ci sono delle situazioni al limite dell’imbarazzo. A Monza addirittura c’è un eletto in consiglio regionale con 93 preferenze. È il più votato, per modo di dire, della Lista Fontana-Lombardia Ideale (7,03% nella provincia brianzola), ma con quel numero di consensi personali avrebbe fatto fatica, in quasi tutte le liste, ad entrare in consiglio comunale a Busto Arsizio. Paradossi che abbiamo in parte già vissuto qualche mese fa, ai tempi delle elezioni politiche, quando il partito più votato in provincia, Fratelli d’Italia (quasi il 30%), è riuscito a portare in parlamento solo un rappresentante del territorio, sempre per motivi da ascrivere ad una astrusa legge elettorale che definisce gli eletti con un metodo discutibile.
Così ormai, ad ogni elezione, dopo lo scrutinio delle schede si attende l’assegnazione dei seggi con la stessa trepidazione con cui chi ha giocato la schedina del Superenalotto aspetta che vengano pescati i bussolotti dei numeri. Perché la legge elettorale regionale assegna i seggi prima con il metodo D’Hondt (lo stesso usato per spartire gli eletti nei consigli comunali) e poi ripartisce i seggi residui in base alle “cifre elettorali residuali percentuali”, che si ottengono “moltiplicando per cento i resti di ciascuna lista provinciale e dividendo per il totale dei voti validi espressi a favore delle liste nella rispettiva circoscrizione”. Alzi la mano chi ci capisce qualcosa.
Ora, non rimpiangiamo certo i tempi del listino bloccato che consentiva all’igienista dentale e al geometra del leader del partito di maggioranza relativa di poter ottenere uno scranno in consiglio regionale senza alcun merito, né tantomeno un sistema di voto come quello delle politiche che consegna ai segretari di partito ogni decisione su chi premiare o meno. E se pure è sacrosanto che venga garantita una rappresentanza territoriale adeguata ed equa a tutte le province lombarde, e che ciascuna lista abbia un numero di consiglieri eletti proporzionale ai voti raccolti in tutta la regione, forse sarebbe ora di pensare ad una legge elettorale che garantisca in modo più semplice e diretto la corrispondenza tra il voto espresso e gli effettivi eletti. Evitando storture che rischiano solo di alimentare quella disaffezione nei confronti di quello strumento democratico di partecipazione che è il voto, che già il 41% di affluenza alle urne delle regionali ha ampiamente evidenziato. L’esempio lo danno proprio i sindaci, che vengono eletti direttamente dai cittadini e che hanno una riconoscibilità e, spesso, una popolarità tale da diventare dei punti di riferimento a prescindere da dove si collochino in ambito partitico, come ha dimostrato il voto regionale. E allora, dopo aver tutti stigmatizzato l’astensionismo record, si faccia qualcosa per evitare che la prossima volta aumenti ulteriormente. Anche se c’è da scommettere che finirà parafrasando quella canzone di Elio e le Storie Tese: “Dai pensiamo al campionato (la legislatura, ndr) e non caghiamo quella subdola, turgida, cinica lotteria…” delle regionali.

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