La politica che fa vincere il coronavirus

E’difficile per chiunque raccapezzarsi nel ginepraio di provvedimenti, misure, proposte, decreti, controdecreti, allerte e rassicurazioni, con il condimento di aspre baruffe politiche, che domina l’attuale momento dell’emergenza coronavirus. Situazione non del tutto inedita nel complicato panorama del Belpaese. Ma anche una situazione che introduce ulteriori preoccupazioni sulla tenuta del sistema sociale a fronte dell’enorme problema sanitario che lo minaccia già da alcuni mesi. Proprio la politica dovrebbe per prima farsi carico di sgomberare il campo dalla confusione generale; invece è la principale fonte del dissesto operativo. Questo è l’aspetto più grave, proprio perché essa è alla guida delle istituzioni. Le tensioni tra governo e Regioni sono la conferma dello scollamento esistente: Roma detta le linee, i governatori dovrebbero interpretarle e applicarle. Infatti, le interpretano e le applicano a seconda delle loro esigenze territoriali e non solo. Qualcuno “chiude”, altri “aprono”. Ed è guerra tra Nord e Sud, come se ce ne fosse bisogno.

Senza dimenticare il ruolo dei sindaci, i veri referenti dei cittadini, collettori di tutte le proteste e richieste che “salgono dal basso”. Sono i primi cittadini, per di più lasciati soli, a dover gestire la rabbia della gente, provando a rassicurare quando diventa quasi impossibile spegnere l’ansia e, in molti casi, l’angoscia. C’è una frase che definisce l’attuale momento e che va per la maggiore: si procede in ordine sparso. Immagine che non ha bisogno di spiegazioni.

Chi invece dovrebbe fornirne sono appunto i politici, per i quali sorge il sospetto, o meglio la certezza, che stiano sfruttando l’occasione per ottenere consensi elettorali. Tutti affermano che bisognerebbe agire con il comune denominatore dell’unità. Fatte salve le legittime osservazioni critiche purché costruttive, il contesto non è dei migliori per accendere micce e far esplodere bombe. Invece c’è chi occupa il Parlamento e chi, su un altro versante, chiede le dimissioni dell’assessore lombardo al Welfare. Atteggiamenti opposti a seconda degli schieramenti al vertice delle singole istituzioni: a Roma, la Lega contro il governo giallorosso; a Milano, il Partito democratico contro la Lega. Scambi di accuse e rilievi fortemente critici rispetto ai modelli gestionali dell’emergenza. Falso sostenere che nessuno abbia commesso errori, inadempienze e indeterminatezze; ragioni e torti, collettivi e personali, sono sotto gli occhi di tutti; inopportuno e intempestivo montare canee alla vigilia della cosiddetta Fase 2, la più delicata per la vera ripresa del Paese. I conti facciamoli dopo.

Detto questo, se è vero che milioni di italiani rischiano di perdere il posto di lavoro e altrettanti sono sull’orlo della povertà, se è vero che artigiani, commercianti e piccoli imprenditori rischiano di non rialzare più le saracinesche dei loro negozi e laboratori; se è vero tutto questo, si rende indispensabile uno sforzo comune per affrontare il futuro prossimo venturo, senza divisioni strumentali, che segnano la mancanza di rispetto per le vittime del Covid-19 e per i loro famigliari. Ma è un’esortazione destinata al vento, persino ingenua davanti a un incendio che non è soltanto sanitario. E che nessun “pompiere” sembra in grado o abbia intenzione di soffocare. Lo si evince anche dal dibattito parlamentare di quest’oggi, giovedì 30 aprile. A tutto vantaggio del dissesto sociale. E del coronavirus.

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