Lavoro minorile, indagine choc: è diffuso anche nel nostro Paese

indagine lavoro minorile

Mentre è molto forte proprio in questi giorni la polemica riguardo i morti sul lavoro – oltre 17 mila nel decennio 2009-2019 e 306 nei primi 4 mesi del 2021 (i dati dell’anno scorso sovrappongono anche i decessi per covid agli infortuni e quindi sono più incerti) – emergono numeri sconcertanti sul lavoro minorile. Secondo una elaborazione, diffusa alla stampa, della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, continua ad essere un fenomeno ancora diffuso non solo a livello mondiale, ma anche nel nostro Paese. In Italia è possibile iniziare a lavorare al compimento del quindicesimo anno di età, a condizione di aver assolto l’obbligo scolastico di 10 anni (elemento che colloca di fatto la possibilità di ingresso nel mondo del lavoro a 16 anni); in via eccezionale, è consentito anche a chi ha un’età inferiore ai 15 anni o che, pur avendoli compiuti, non abbia completato l’obbligo formativo, di svolgere attività di carattere culturale, artistico e sportivo o pubblicitario, e nel settore dello spettacolo, a condizione che vi sia l’assenso scritto dei genitori e l’autorizzazione della Direzione Provinciale del Lavoro.

Qualsiasi situazione si collochi al di fuori dei perimetri indicati dalla legge, costituisce una forma di lavoro illegale oltre che un rischio per i giovani in termini di sfruttamento economico, salute e sicurezza, sviluppo fisico, psichico, morale, sociale e soprattutto formativo. Per quanto sia un problema diffuso soprattutto nei Paesi in via di sviluppo (l’Ilo, l’Organizzazione internazionale del Lavoro, stima in 152 milioni le vittime di lavoro minorile nel mondo), anche le economie più avanzate, come la nostra, non ne sono immuni. Tra il 2018 e il 2019 – viene sottolineato nella ricerca – sono stati accertati dall’Ispettorato del lavoro più di 500 casi di illeciti riguardanti l’occupazione irregolare di bambini e adolescenti, sia italiani che stranieri, di cui la maggioranza nei servizi di alloggio e ristorazione, circa 70 nel commercio all’ingrosso o al dettaglio, e a seguire in attività manifatturiere e agricoltura.

Nel 2020, per effetto delle chiusure aziendali a seguito della pandemia, il dato risulta in calo a 127 (contro i 243 del 2019). Sono numeri che rappresentano la punta dell’iceberg di un fenomeno senza dubbio – è sottolineato – sottostimato, anche per la mancanza di una rilevazione sistematica in grado di definirne contorni e caratteristiche: l’ultima è stata effettuata da Save the Children nel 2013 e stima in circa 260 mila i minori di 16 anni interessati da un’esperienza di lavoro. Quello che è certo è che si tratta di un fenomeno estremamente composito e articolato. Dietro una condizione di irregolarità quale quella del lavoro minorile, si nascondono infatti situazioni che vanno dal vero e proprio sfruttamento a collaborazioni retribuite nell’ambito di attività famigliari, a piccoli ed estemporanei lavori stagionali, frutto della volontà di sperimentare precocemente un’esperienza lavorativa, alla necessità di lavorare imposta dalle condizioni economiche familiari. Nell’ampio spettro di situazioni, trovano spazio le ragioni più diverse: dalle prassi e consuetudini familiari alla mancata conoscenza delle norme, dalla necessità di contribuire all’economia familiare alla vera e propria intenzionalità criminale.

Ancora più interessante è che in base alle stime elaborate dalla Fondazione Studi a partire dai micro-dati dell’Indagine Forze di lavoro dell’Istat, si è in presenza di un fenomeno di irregolarità molto diffuso che ha interessato circa 2,4 milioni degli attuali occupati tra i 16 e 64 anni. Sebbene l’analisi si concentri su un segmento specifico – quanti nel 2020 avevano un’occupazione – escludendo pertanto gli attuali inoccupati dalla rilevazione, consente di offrire uno spaccato interessante, sulle dimensioni, sulle caratteristiche e sull’evoluzione del fenomeno.

Complessivamente il 10,7% degli attuali occupati ha iniziato a lavorare a un’età inferiore ai 16 anni ma, negli anni, tale quota è andata riducendosi, a seguito della crescita dei livelli di istruzione della popolazione, di benessere delle famiglie e sviluppo del Paese. Un contributo è venuto anche dalla crescente attenzione verso il problema che ha portato nel 1999 all’elevazione dell’obbligo formativo da 8 a 10 anni, consentendo una riduzione del fenomeno tra le fasce di popolazione più giovane. Tra i 55-64enni la quota di quanti hanno iniziato a lavorare prima dei 16 anni è del 15,3% mentre nelle generazioni successive questa scende progressivamente, al 13,5% tra i 45-54enni, all’8,8% tra i 35-44enni fino al 5,2% tra i 25-34enni e al 2,7% tra i 16-24enni.

Dati importanti e che devono far riflettere. Il lavoro dei minori è stato in passato molto esteso. Ora si è ridotto ma i dati, come detto, non possono giocoforza essere attendibili. Questo impone allo Stato non solo una politica di contrasto al fenomeno, ma anche di supporto alle famiglie e ai minorenni che lavorano sostanzialmente perché sono in una condizione di bisogno. Altrimenti sarà impossibile garantire il diritto a lavorare solo ad un’età corretta.

Angela Bruno

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