Lo storico viaggio di Papa Francesco in Iraq

L’incontro con l’ayatollah al-Sistani, la tappa a Mosul e nel Curdistan

di Emma Brumana

Il viaggio papale nella terra d’Abramo ha riacceso i riflettori su una regione dilaniata da guerre endemiche. Papa Francesco ha svolto, secondo molti studiosi, un ruolo fondamentale per rilanciare lo sviluppo socioeconomico dell’Iraq, una delle pedine più importanti nel bilanciamento degli equilibri geopolitici in Medio Oriente.

Francesco, primo Papa nella storia a visitare la terra dei Due Fiumi, è stato seguito con grande attenzione da tutti gli altri attori della regione. Infatti, Iran, Arabia Saudita, Israele e Turchia stanno vivendo settimane di incertezza sul fronte delle relazioni internazionali. Si attendono le mosse dell’amministrazione Biden che, già dai suoi primi atti, ha segnato un cambio di rotta rispetto alla presidenza Trump.

Il viaggio apostolico del Papa ha avuto inizio nella capitale irachena, Baghdad, dove ha incontrato il presidente in carica dal 2018, Barham Salih. Quest’ultimo è bersaglio di numerose contestazioni nelle province meridionali. Le proteste, iniziate nel 2019, accusano le istituzioni di corruzione e di inefficienza.

L’incontro con l’ayatollah al-Sistani

Una delle tappe più importanti è stata l’incontro del Papa con l’ayatollah Ali-al-Husayni al-Sistani a Najaf. Il colloquio privato con la massima guida spirituale della comunità sciita del paese ha rafforzato i rapporti tra i cristiani e i musulmani sciiti. Ma non solo. Alcuni osservatori, tra cui Antonio Spadaro – direttore della rivista La Civiltà Cattolica – sostengono che il pontefice abbia contribuito all’apertura di un dialogo costruttivo tra sciiti e sunniti. La coesione tra le due comunità è necessaria al fine di riconciliare la nazione. Papa Francesco e al-Sistani si sono confrontati sulle sfide che l’Iraq e, in generale, il Medio Oriente devono affrontare. La società irachena deve ricostruire un clima di tolleranza tra le diverse anime etniche e religiose. I due capi, inoltre, hanno riflettuto sullo stato di povertà in cui vivono molti popoli della regione, quello palestinese tra tutti.

Mosul e il Kurdistan iracheno

Tappa cruciale del pontefice è stata Mosul. Nell’ex roccaforte dell’Isis ha affermato: “Il terrorismo non ha mai l’ultima parola”. Le rovine della città, testimonianza della violenza esercitata dai fondamentalisti islamici, sono state riprese dalle telecamere e trasmesse in tutto il mondo. Il Papa, infatti, ha deciso di pregare a Hosh al-Bieaa, la piazza delle quattro chiese. Gli edifici religiosi furono distrutti dai jihadisti, intolleranti nei confronti della minoranza cristiana.

Il messaggio di coesione e fratellanza tra i cittadini iracheni è stato pronunciato dal pontefice nello stesso luogo in cui, nel 2014, venne proclamata la nascita del califfato. Il Papa ha dunque riconquistato simbolicamente lo spazio in cui Isis aveva annunciato la crociata contro l’Occidente ed esplicitato la volontà di impadronirsi del Vaticano.

L’instabilità della regione ha reso questo viaggio il più rischioso che Francesco ha compiuto in questi anni. L’Iraq, infatti, è diventato lo scenario principale dello scontro a distanza tra Washington e Teheran. Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, è stata colpita, lo scorso 15 febbraio, da un attacco missilistico. Secondo alcune fonti, tra cui il quotidiano al-Arabiya, l’attacco è stato condotto da un gruppo chiamato Saraya Awlia al-Dam – i Guardiani delle Brigate di sangue – contro una delle basi militari statunitensi. L’attentato può considerarsi una vendetta verso i miliziani uccisi dall’esercito americano. Questo gesto può anche essere interpretato come un atto di ostilità di Teheran verso l’occupazione militare statunitense nel Kurdistan iracheno. Infatti, alcune milizie sciite combattono nella regione grazie ai finanziamenti iraniani. Nella stessa Erbil attaccata meno di un mese fa, il pontefice ha celebrato la Messa prima del ritorno a Roma. Nello stadio della città, gremito di fedeli, Francesco ha affermato: “Chiedo a tutti voi di lavorare per un futuro di pace e prosperità che non lasci indietro e non discrimini nessuno”.

Questo viaggio ha dunque avuto una forte connotazione politica e sociale, oltre che religiosa. I luoghi visitati rappresentano un affresco delle problematiche che l’Iraq deve affrontare. Non a caso, il pontefice si è definito pellegrino di speranza. Il messaggio di pace e fratellanza, però, si scontra con la fragilità di una nazione in cui manca un progetto di coesione sociale.

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