Quando Silvio (non) comandava in provincia di Varese

E’ morto il re, viva il re. Formula di difficile applicazione dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi, l’uomo che ha dominato la scena pubblica negli ultimi trent’anni. Senza però lasciare un successore che dia continuità alla sua azione politica e, quindi, al partito/azienda che aveva lanciato con innegabile successo nel 1994, Forza Italia. Diverso, evidentemente, il discorso per il suo immenso patrimonio privato, per le televisioni e per tutto quanto costituisce la ricchezza dell’imprenditore che, in un modo o nell’altro, nel bene e nel male, ha animato, scosso, modificato, in una parola ha condizionato, il contesto sociale e politico del nostro Paese. Di tutto il Paese, irrompendo anche nei centri di potere periferici, come in provincia di Varese. Dove, in verità, Forza Italia dovette fare i conti con la presenza della Lega di Bossi, che qui aveva avuto origine e pretendeva, dall’alto del suo consenso elettorale, di gestire indisturbata i gangli istituzionali del posto. Berlusconi lasciò fare in virtù di un accordo sottoscritto con lo stesso Bossi: tu comandi a Roma, io in Lombardia e, soprattutto, nel Varesotto. Non a caso non si ricordano comizi pre elettorali del Cavaliere sotto il Bernascone. E c’è chi parla di un vero e proprio veto postogli dal capo leghista.

A Forza Italia, però, aderirono in molti. Non tutti erano opportunisti della poltrona, pronti a saltare sul carro del vincitore. In molti pensavano che l’ideale moderato e liberale, la grande novità berlusconiana, potesse rappresentare la svolta per una nazione che usciva con le ossa rotte da Tangentopoli. Ma dovettero, i forzisti varesini, sottostare alla legge di Arcore, che imponeva i suoi uomini nel momento delle urne. Paracadutati, a volte sconosciuti, che occupavano collegi elettorali destinati, per meriti e per naturale rappresentanza territoriale, a chi, in provincia, sosteneva e propagandava la bandiera azzurra. Tant’è che, per diversi anni, Varese ha avuto un solo esponente locale forzista in parlamento, il senatore Antonio Tomassini. Una anomalia alla quale nessuno osava eccepire in modo palese, chi l’avesse fatto avrebbe pagato dazio. A Berlusconi e a Bossi, che col Cavaliere, tra i noti alti e bassi, viaggiava in sintonia quando c’era da contare i voti.

L’ influenza di Berlusconi nella nostra provincia, seppure indiretta a causa del predominio leghista, si fece sentire per lungo tempo. Certo, i primi cittadini di Varese vestivano la casacca leghista e soltanto Gallarate, tra le città più importanti, poteva vantare quasi da subito un sindaco di diretta espressione forzista, seguita poi da Busto Arsizio, ma dopo un ampio periodo con sindaci del Carroccio. Questo non impedì al Cavaliere di incidere con la sua compagine nelle scelte amministrative fondamentali degli anni Novanta e per i tre lustri successivi del Duemila. Fino al patatrac dell’inchiesta Mensa dei Poveri, quando i maggiorenti locali forzisti tracimarono negli illeciti. Ma Silvio Berlusconi, fiaccato anche dalle sue personali vicende giudiziarie, aveva già cominciato il declino politico. E la Lega, con Umberto Bossi ai margini per questioni di salute, non era più la Lega.

E ora? A Varese, Forza Italia conserva una discreta consistenza elettorale, ma non ha più i dirigenti di un tempo. Chi gestisce il partito non possiede il carisma né le capacità di quelli di prima, forse nemmeno la stessa presenza scenica, per dirla in termini teatrali. Lo tsunami giudiziario non li ha colpiti in modo diretto, ma questo non è sufficiente a garantire una solida continuità politica. Specialmente senza più il referente ideologico, culturale, politico e comportamentale a cui rivolgersi anche solo idealmente. Non sappiamo come andrà a finire, possiamo soltanto immaginarlo. Coloro che hanno votato Forza Italia, votavano Berlusconi. Si identificavano in lui, prendevano spunto dalla sua personalità, dai suoi successi in tutti i campi, dalle donne al calcio, dall’imprenditoria alle televisioni alla politica. Berlusconi non c’è più. Forse non ha mai comandato davvero a Varese, di sicuro ne è stata l’insostituibile icona, il faro di un modo di intendere la gestione pubblica che sembra irrimediabilmente avviato al passato. Anche qui da noi, nella provincia che rimane vicina al centrodestra, sposta il consenso su Fratelli d’Italia, ma sa perfettamente di essere orfana di un personaggio, anzi, di una personalità irripetibile perché unica.

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