Rapporto Ismu, un anno duro anche per gli stranieri fra povertà e disoccupazione

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Meno stranieri, meno occupati, meno in salute e più poveri. E’ una fotografia dai risvolti quasi drammatici quella che quest’anno ha realizzato la Fondazione Ismu, l’Istituto per lo studio della multietnicità il cui obiettivo è promuovere studi e ricerche e di svolgere un’attività di documentazione, informazione e formazione sui molteplici aspetti connessi con la trasformazione multietnica e multiculturale della società.

Il XXVII Rapporto stima che al 1° gennaio 2021 gli stranieri presenti in Italia siano 5.756.000 , 167.000 unità in meno rispetto alla stessa data del 2020 (-2,8%). Il numero degli irregolari resta sostanzialmente invariato, attestandosi sui 519mila (contro i 517mila dell’anno precedente). Gli stranieri rappresentano nel complesso circa il 10% della popolazione presente l’anno scorso. Per quanto riguarda il lavoro – si legge – la vulnerabilità della popolazione con background migratorio, già strutturalmente svantaggiata rispetto a quella italiana, si è accentuata a causa della pandemia: il tasso di occupazione dei migranti , infatti, subisce una significativa flessione , passando dal 61% del 2019 al 57,3% del 2020.

Alla vigilia del Covid (2019) in Italia si contavano, secondo la rivelazione continua sulle forze lavoro, oltre 4 milioni di stranieri in età attiva e quasi 2 milioni e 900mila stranieri attivi (ossia occupati o alla ricerca di un impiego), pari all’11,3% delle forze lavoro complessive. A un anno di distanza (2020) gli stranieri rappresentano il 10,8% della popolazione attiva e il loro peso sulle forze lavoro è sceso al 10,4% per effetto di un deciso incremento della componente inattiva, oltre cinque volte quello che ha interessato la popolazione italiana. Se nel 2019 erano stranieri l’8,9% degli inattivi in età attiva, un anno dopo questa percentuale è salita al 9,9% (specularmente l’incidenza sugli occupati scende dal 10,7% del 2019 al 10,2% del 2020).

Tra il 2019 e il 2020, mentre nella popolazione italiana gli inattivi hanno registrato una crescita del 3,1%, nella popolazione straniera essi sono aumentati addirittura del 16,2% (nel 2020 gli inattivi stranieri sono 1.364.982). Il tasso di attività degli stranieri registra una significativa diminuzione trainata dalla componente femminile, che perde addirittura 6,5 punti percentuali, ma rilevante anche per gli uomini (-3%). Per la prima volta il tasso di attività delle donne straniere scende al di sotto di quello – già preoccupantemente basso – delle donne italiane: 52,8% contro il 54,9%. A causa del peggioramento del quadro economico complessivo, il tasso di occupazione degli stranieri subisce una rilevante flessione, passando dal 61% del 2019 al 57,3% del 2020 (-2,2% per gli uomini, -4,9% per le donne), scendendo così, per la prima volta, a un valore inferiore a quello degli italiani (58,2%). Dei 456mila posti che si sono persi tra il 2019 e il 2020, quasi un quarto è da attribuire alle sole donne straniere.

Altro dato allarmante si assiste a un ulteriore aggravamento della povertà, giunta nel 2020 a riguardare il 29,3% degli stranieri (rispetto al 7,5% degli italiani) e il 26,7% delle famiglie di soli stranieri (erano il 24,4% nel 2019), pari a ben 415mila nuclei familiari, che diventano 568mila se vi includiamo anche le famiglie miste (quelle cioè con almeno un componente straniero). Inoltre, sebbene più diffusa nel Mezzogiorno (dove arriva a interessare il 31,9% delle famiglie di soli stranieri), la povertà assoluta è cresciuta soprattutto nel Nord del Paese, passando dal 24,6% del 2019 al 28,4% del 2020. Da segnalare è l’alta incidenza di stranieri poveri ancorché occupati: 25%, cinque volte più alta di quella degli italiani (5,1%).

Sulla salute da recenti studi emerge come i migranti possano essere a maggior rischio di morbosità e mortalità per infezione da Covid-19 per via delle condizioni di vita e di lavoro e delle barriere di accesso all’assistenza sanitaria. E’ stato rilevato che i casi di Covid tra la popolazione straniera sono stati diagnosticati circa due settimane in ritardo rispetto ai casi italiani. Di conseguenza le infezioni tre le persone non italiane sono state diagnosticate in modo meno tempestivo, in una fase della malattia più avanzata e con sintomi più gravi. Secondo l’Istituto superiore di sanità (Iss), il ritardo nelle diagnosi è dovuto a diversi fattori: la difficoltà nell’accesso alla medicina territoriale (medici di base e ambulatori), le barriere linguistiche, amministrative, legali, culturali e sociali che – da sempre – ostacolano un veloce accesso ai servizi sanitari, oltre al fatto che gli stranieri potrebbero aver temuto il rischio di isolamento/quarantena e, di conseguenza, restrizione o blocco della propria attività lavorativa. La lezione che ci consegna la pandemia è dunque la necessità di una nuova governance dei processi migratori e di inclusione, rimarca l’Ismu. Un percorso certamente non facile.

Angela Bruno

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