MILANO – Chiacchieroni fino all’eccesso online, timidi e introversi offline. Sembra questa la tendenza secondo l’ultima indagine condotta dall’associazione nazionale Di.Te. che si occupa di dipendenze tecnologiche, gioco d’azzardo patologico e cyberbullismo, su un campione di 500 persone di entrambi i sessi di età compresa tra i 18 e i 68 anni. Per l’80% degli intervistati i social facilitano l’incontro con l’altro, ma quando ci si trova davanti a un soggetto in carne e ossa il 65% di loro confessa di avere difficoltà a gestire la relazione. Insomma lo studio ha rivelato che si è sempre più disposti a parlare di sé e a conoscere gli altri attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, anziché mettersi a confronto nelle occasioni che offre la vita reale.
I dati della ricerca di Di.Te.
Il 55% del campione sostiene che i social colmino il bisogno di intrattenere relazioni con altre persone. Se si va a sviscerare il dato, si scopre che la pensano così il 78% degli intervistati tra i 18 e i 28 anni e il 63% tra i 58 e i 68 anni. Numeri che mettono in luce anche un altro aspetto: il 68% delle 500 persone che hanno risposto ai questionari dice di non soffrire la mancanza di qualcuno accanto da quando utilizza con regolarità i social, perché online c’è sempre qualcuno pronto a rispondere o a intrattenersi in compagnia.
Da quanto emerge, è diminuita la capacità di creare nuovi contatti nella vita di tutti i giorni. Il 60% degli intervistati dice di non avere costruito nuovi rapporti amicali negli ultimi tre anni. Il dato sale al 73% per la fascia di età che va dai 38 ai 48 anni.
“Scrivere e parlare l’uno di fronte all’altro implicano due diverse abilità – osserva lo psicologo e psicoterapeuta Giuseppe Lavenia, presidente di Di.Te. -La comunicazione, in generale, affinché sia efficiente ed empatica, richiede molto allenamento. Più siamo disposti a confrontarci, a scambiare idee, e a dialogare con gli altri, più si migliora”.
Perché privilegiamo la modalità scritta
Ma come mai si privilegia la modalità scritta piuttosto che quella parlata? “Perché creiamo più community e meno comunità. Comunicare nella vita offline comporta l’uso di tutti sensi, dell’empatia e chiede la disponibilità a metterci la faccia. Abbiamo delle micro espressioni facciali che possono dire molto del nostro stato emotivo alla persona con cui ci troviamo di fronte. E poi, appunto, è necessario un confronto a cui non siamo più così abituati”. Vale a dire che non ci si sente più soli? “I social invitano ad attivarsi, a postare, a scrivere, a leggere commenti. Ed è vero che, in un certo senso, facilitano il contatto con gli altri e possono far sembrare più lontane le difficoltà con cui tutti dobbiamo fare i conti nella quotidianità. Ma, a mio avviso, più che aiutare a non sentirsi più soli, sarebbe meglio dire che le persone non hanno più il tempo di annoiarsi o di vivere una solitudine costruttiva. Il tempo sui social passa in fretta e sembra che ci sia sempre qualcosa da fare, o guardare, scrollando tra le loro pagine. Sui social ci si allena continuamente a presentarsi nel modo migliore. Questo atteggiamento, da una parte, è positivo: lo si può utilizzare anche nella vita offline e iniziare a conoscere persone mettendo in mostra la parte di sé che piace di più. Dall’altra, invece, fa riflettere sul fatto che quando ci si ritrova vis à vis si è più attenti a tutelare la propria privacy mentre online si è più disinibiti. Sui social – conclude Lavenia – qualunque pretesto è buono per commentare una notizia, anche dopo diverso tempo, mentre quando ci si trova faccia a faccia bisogna essere pronti a interagire con i dovuti modi nell’arco di poco”.
Angela Bruno