Spalletti, eterno piazzato, è il Toto Cutugno delle panchine: è l’uomo giusto per l’Inter? Meglio il Cholo

Di colpo Luciano Spalletti, Toto Cutugno, così definito affettuosamente per la clamorosa propensione ai secondi posti, è diventato il responsabile numero uno del flop europeo dell’Inter. Colpevolizzarlo per ogni male è un’esagerazione. Se l’Inter ha concluso il proprio percorso europeo, quantomeno quello più prestigioso, non può essere solo colpa di Spalletti e lo dice uno che da sempre lo contesta. C’è una complicità di gruppo che si estende alla squadra, fino alla società. Questa è la premessa doverosa.

Un progetto vincente deve basarsi su Spalletti?

Poi però c’è un secondo aspetto sul quale discutere. Spalletti è l’uomo giusto per rilanciare il progetto “cinese” battezzato in queste ore dal nuovo direttore generale, Giuseppe Marotta? Secondo me no. Lo dice la sua storia. Scherzosamente l’ho definito il Toto Cutugno delle panchine proprio perché la vittoria non è proprio nel suo Dna. Eterno secondo per antonomasia, tuttora, il grande Toto resta recordman di medaglie d’argento al Festival di Sanremo. Quasi una maledizione per il mitico cantante de “L’Italiano” che vince nel 1980 con Solo Noi, per poi collezionare solo piazze d’onore. Solo Noi: lui e Lucianone Spalletti, accomunati dall’essere eterni piazzati. Primi tra i delusi: per i più cinici, semplicemente primi tra i perdenti. Eppure qualche capolavoro lo hanno anche sfornato. Spalletti ai tempi romani eliminò in Champions il Real Madrid e il super Lione in due diversi ottavi di finale, ma in tante menti è rimasta ben scalfita la debacle terribile di Manchester contro lo United (7-1). Avrebbe potuto vincere nel 2008 nel duello contro l’Inter di Mancini, ma poi qualche clamoroso passo falso contro le piccole, vedi il Livorno di Diamanti, fecero sprofondare il sogno all’Inferno. Sempre secondo alle spalle della rivale di turno, soprattutto la stessa Inter sulla cui panchina si è seduto poco più di un anno fa. Ancora piazzato, lo scorso anno, e pure quest’anno. Vabbe’ però davanti c’è la Juve dei record. Certo, tuttavia ogni volta che c’è da fare il salto di qualità, ecco l’inciampo. Dopo il fallimento romano non è andato a vivere in campagna come suggeriva in una canzone il suo “Vate”, ma vicino alla steppa russa. Lì ha vinto, ma la speranza dei tifosi interisti è che a San Pietroburgo non si sia esaurita la sua vena.

Meglio il Cholo, come Vasco Rossi

Che non si sia giocato il Jolly “Solo noi”, ma che il magico 1980 presto si palesi anche in campo. Sì ma in un campo di Serie A, non in una lontana terra dove il calcio non è tradizione primaria. Se fossi io a scegliere, prenderei il Cholo Simeone, più di Conte o di Mourinho. Dna nerazzurro, esperienze vincenti in giro per l’Europa e un carisma spaventoso. Uno di quelli che lo spogliatoio lo farebbe tremare e che mai avrebbe permesso a Icardi di fare la gita fuoriporta a Madrid poche ore prima della gara decisiva col Psv. Il Cholo come Vasco Rossi, dai bassifondi della Serie A col Catania, il primo, e l’altro ultimo a Sanremo, ma poi il decollo per tutti e due. Dalla polvere della periferia alle stelle più lucenti.  Entrambi parlano alla gente senza fronzoli e non sono mai secondi a nessuno. Vincenti e capiclassifica. Entrambi.

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