Sulla Via della Seta troppi incroci a rischio

pellerin via seta cina

di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, effettivamente le dichiarazioni del ministro Guido Crosetto in merito al ben noto memorandum: “La scelta di aderire alla Via della Seta fu un atto improvvisato e scellerato, fatto dal governo di Giuseppe Conte, che ha portato a un doppio risultato negativo. Noi abbiamo esportato un carico di arance in Cina, loro hanno triplicato in tre anni le esportazioni in Italia”, ha suscitato molte preoccupazioni in Cina. “Scellerato e improvvisato” sono aggettivi impegnativi, non credo scelti a caso, certamente difficili in diplomazia. Mancano poco meno di cinque mesi per una decisione italiana sul rinnovo o meno dell’accordo e quindi se Roma non fa un passo indietro entro la fine del 2023 il memorandum firmato dal governo gialloverde nel 2019 si rinnoverà automaticamente a marzo.

Liu Jianchao, capo del dipartimento per le relazioni internazionali del Partito comunista cinese, reduce da un viaggio a fine giugno in cui ha tentato di far leva su aziende e partiti, aveva concesso un’intervista al Sole 24 Ore spiegando che “nel considerare l’eredità storica, si deve superare l’inerzia e si devono attribuire nuovi contenuti strategici al rapporto Cina-Italia”, che con “nuovi dialoghi politici formano nuovi consensi” e “si intensificano gli scambi istituzionali, dei partiti delle autorità locali, e si rafforza il coordinamento sull’agenda internazionale e in seno alle organizzazioni multilaterali”. Lo sforzo della diplomazia cinese mi pare palese ma forse insufficiente.

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Ivanoe Pellerin

Infatti il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, probabilmente allarmato dalle notizie, si è limitato solo ad un breve commento, dal tono rassegnato, sul fatto che “sfruttare ulteriormente il potenziale della cooperazione Belt and Road è nell’interesse di entrambe le parti”. Sembra quasi che i cinesi abbiano dato già per scontato il passo indietro dell’Italia. D’altronde è ben noto alle parti che il memorandum non si è tradotto per il nostro paese in un grande guadagno commerciale dal momento che, per esempio, Francia e Germania hanno costruito un interscambio commerciale con la Cina molto più ampio di quello italiano senza ricorrere ad alcun accordo strategico.

Al Corriere della Sera, Crosetto ha spiegato che: “Il tema oggi è: tornare sui nostri passi senza danneggiare i rapporti perché, è vero che la Cina è un competitor, ma è anche un partner”. Sembra che il presidente del Consiglio abbia annunciato proprio da Washington che ha in programma un viaggio in Cina, certamente non a caso. È ragionevole pensare che Roma stia lavorando per rendere la transizione il più indolore possibile e per evitare di trasformare il risentimento cinese in un contraccolpo economico. Secondo le indiscrezioni governative raccolte dal Foglio, il processo di abbandono sarebbe già in atto.

Infatti secondo le notizie riportate dal quotidiano, il governo Meloni “ha intenzione di chiudere la partita prima dell’annunciato viaggio” a Pechino, “che avverrà tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre”. In altre parole, il Memorandum sulla Via della Seta “verrà di fatto stracciato”. Soprattutto la diplomazia di Palazzo Chigi avrebbe “già concordato i tempi dell’uscita con il governo cinese”, che a sua volta avrebbe “comunicato in via informale la sua disponibilità a cancellare l’accordo senza ritorsioni”. Da qui il tono “non minaccioso” del portavoce di Pechino, secondo Il Foglio.

L’esecutivo è intenzionato ad annunciare che non rinnoverà l’adesione italiana alla Via della Seta ben prima del limite. La prima visita ufficiale di Meloni in Cina potrebbe essere un’occasione per gestire il distacco. Secondo il quotidiano, Roma vuole bilanciare lo stralcio dell’accordo con una nuova serie di accordi commerciali, sulla falsariga di quelli stretti dal presidente francese Emmanuel Macron durante la sua visita dello scorso aprile.

Ci possiamo dunque aspettare nuove cooperazioni in settori che vanno dai trasporti all’energia, dall’agricoltura alla scienza. Nella pratica, però, quello che avrà fatto il governo Meloni è abbandonare un accordo-quadro dalla forte valenza politica e reimpostare il rapporto italiano con la Cina su una partnership economica. In questo si allinea al resto dei Paesi del G7 e alla maggior parte dell’Occidente e porta a compimento il processo di ricollocazione atlantista, già affermato dal governo Draghi, per tenere a debita distanza il rivale cinese.

James Palmer sul China Brief di Foreign Policy riflette che Pechino potrebbe interpretare la mossa italiana come uno schiaffo in faccia, nonostante gli sforzi di Meloni per allontanare l’impressione che gli Stati Uniti abbiano avuto un ruolo nella decisione. Bene ha fatto il ministro degli Esteri Tajani a scegliere la parola “competitor” per definire la Cina. Per l’Unione Europea è allo stesso tempo “partner negoziale”, “competitor economico” e “rivale sistemico”. Invece, Italia e Cina sono unite da un partenariato strategico globale. Scelta di parole che va di pari passo con quanto dichiarato nei giorni scorsi da Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia. A margine del G7 Finanze aveva risposto a una domanda sulla Via della Seta spiegando che “sicuramente quello della sicurezza economica è un tema centrale, tanto più collegato con la rivoluzione green e la rivoluzione energetica dove buona parte delle materie prime critiche arrivano esattamente da Paesi che, in qualche modo, sono influenzati o hanno rapporti con la Cina”. Una valutazione di “tipo strategico” si impone, aveva continuato Giorgetti, “non soltanto per l’Italia ma per tutti i Paesi del G7”.

Cari amici vicini e lontani, allora per quanto riguarda la Via della Seta credo si possa ricordare il grande Manzoni: “… questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai”.

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