Trent’anni fa, quando cadde il muro di Berlino

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di Antonio Laurenzano

9 novembre 1989: una data storica che rivive nelle coscienze. Quel giovedi di trent’anni fa, dopo oltre 28 anni, cade il muro di Berlino che dal 13 agosto 1961 aveva di fatto tagliato in due non solo una città, ma un Paese, un Continente. Cadeva uno dei simboli della guerra fredda, la “cortina di ferro”, il simbolo della divisione del mondo in due blocchi politici, economici e militari contrapposti: quello americano sotto l’egida della Nato e quello sovietico sotto l’egida del Patto di Varsavia, l’alleanza tra gli Stati comunisti segnata dal terrore del regime.

Per l’opinione pubblica mondiale la costruzione del “muro della vergogna” fu uno shock, accettato colpevolmente dalle cancellerie occidentali per “salvaguardare la stabilità dei due blocchi in Europa”. Solo dopo, quando le conseguenze della brutale divisione della Germania diventarono sempre più evidenti nella loro drammaticità, si registrarono le prime reazioni. Famosa è rimasta la visita a Berlino del Presidente americano J.F.Kennedy che pronunciò in lingua tedesca, davanti a migliaia di berlinesi, la storica frase: “Ich bin ein Berlinen”, “Anche io sono un abitante di Berlino”.

Parole suggestive che non servirono però a rimuovere una delle più grandi vergogne della storia del XX secolo: 43 Km di muro che separavano Berlino Est da Berlino Ovest. Lo sbarramento che chiudeva ermeticamente il resto della RDT, la micidiale “striscia della morte”, aveva una lunghezza di circa 112 Km e un’altezza di oltre tre metri e mezzo. Drammatico è stato il contributo di sangue a questa follia: 130 i cittadini dell’Est in fuga verso la libertà uccisi dal fuoco dei soldati di frontiera della Germania comunista, gli spietati VoPos. Altri annegarono tragicamente nelle fredde acque del fiume Sprea che tagliava gli sbarramenti.

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Antonio Laurenzano

La svolta la sera del 9 novembre 1989: il muro si sgretolava sotto le pacifiche picconate di migliaia di persone, a seguito della “revoca delle restrizioni per i viaggi all’estero” annunciata in diretta tv, nel corso di una conferenza stampa, da Gunter Schabowski, alto funzionario di partito nella RDT. Le lacrime e gli abbracci dei berlinesi ricongiunti sotto lo stesso cielo suggellarono l’atto finale della implosione comunista, la dissoluzione dell’Unione sovietica propiziata dalla perestrojka di Michail Gorbaciov. Con la caduta del muro venne restituita la libertà e la dignità a milioni di persone. I Paesi del blocco comunista tormarono nella comunità dell’Europa dell’umanesimo. Dal totalitarismo alla democrazia. Fu il riscatto di intere popolazioni da una lunga oppressione.

Dopo anni di violenta divisione, per la Germania l’anno zero, la “wende”. La “rivoluzione di velluto” fu il preludio della riunificazione tedesca. Un’operazione politica fortemente osteggiata dall’allora primo ministro britannico Margaret Thatcher e, inizialmente, dal presidente francese Mitterand per i quali le ombre del passato non erano ancora fugate. Lo stesso nostro ministro degli esteri del Governo Craxi, Giulio Andreotti, con la consueta sottile ironia affermava: “Amo così tanto la Germania che ne voglio due.” Una Germania unita, un gigante egemone al centro dell’Europa faceva nuovamente paura. Per tutti prevalse la realpolitik: diffidenze, dubbi e timori si dissolsero dinanzi al disegno della moneta unica che in quegli anni andava prendendo forma. In cambio della rinuncia al marco e del sostegno all’euro da parte del Cancelliere Helmut Kohl, instancabile artefice dell’operazione, cadde ogni riserva sul processo di riunificazione tedesca che si concluse formalmente il 3 ottobre 1990, con generale soddisfazione di tutti i partner europei nella prospettiva di un’Europa più forte sullo scacchiere internazionale.

In un rinnovato clima di forte tensione morale, la Germania, ai piedi della storica Porta di Brandeburgo, celebra il Trentennale della caduta del muro. Il tutto per raccontare i cambiamenti sociali e architettonici che hanno interessato la grande metropoli tedesca (3,8 milioni di abitanti) negli ultimi trent’anni, tornata ad essere dal 20 giugno 1991 capitale di un Paese testimone di uno degli eventi più importanti del XX secolo che ha cambiato profondamente l’Europa e gli equilibri mondiali.

Ma la “storia del Muro” ha insegnato qualcosa a quei Paesi dell’Est impegnati a ricostruire muri e recinzioni nel segno di anacronistiche divisioni? Il timore è che la miopia storico-politica di qualche novello “padre della patria” possa alimentare pericolosi rigurgiti nazionalistici e riesumare i tristi fantasmi del passato. Una brutta pagina di storia del Vecchio Continente. La libertà dei popoli non può essere barattata in nome di illusori sovranismi!

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