«Vi racconto la storia di mio padre, legnanese internato nei lager nazisti e Medaglia d’Onore della Repubblica»

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LEGNANO – «Mio padre ha aspettato per una vita che gli fosse riconosciuto qualcosa per non aver aderito alla Repubblica Sociale ed essere stato costretto a lavorare nella Germania nazista. Ora il riconoscimento è arrivato e ci tengo a dire ai discendenti degli altri 600.000 internati italiani durante la guerra che hanno diritto anche loro di riceverlo». A parlare è Renata Pasquetto, figlia di Adriano, classe 1921, ufficiale di fanteria, catturato dai tedeschi dopo l’8 Settembre e deportato in Germania. A lui e ad altri 19 ex IMI (Internati militari italiani) è stata consegnata nei giorni scorsi dal prefetto di Milano, Renato Saccone, la Medaglia d’Onore concessa, con decreto del Presidente della Repubblica, ai cittadini italiani deportati e internati nei lager nazisti. A distanza di tanti anni, solo due di essi hanno ricevuto la medaglia ancora in vita, Venuto De Servi di Rescaldina e Giuseppe Regola di Milano, mentre gli altri riconoscimenti sono stati assegnati alla memoria e ritirati dai familiari.

Un riconoscimento introdotto nel 2007 e ancora poco conosciuto

«Ho voluto divulgare la notizia – spiega Renata, legnanese come il padre, morto nel 1992 – insieme alla mia gioia personale a 74 anni dai fatti e dopo, posso dire, una cinquantina di attesa per me, cioè tutta la mia vita. Ho fatto da apripista, mi piacerebbe riempire l’Italia di queste medaglie. La procedura non è difficile, basta presentare la domanda sul sito internet dedicato dal governo con le procedure introdotte nel 2007 per gli ex IMI. Darò volentieri il mio aiuto per chi lo desidera. C’è anche una pagina social dove i discendenti si confrontano e cercano notizie dei rispettivi parenti o conoscenti internati. Sono tante piccole storie che messe insieme danno un quadro più definito, grazie allo spirito di collaborazione ci si arricchisce tutti. Per questo divulgherò la mia esperienza personale, anche con il sostegno dell’ANPI di Legnano».

Dalla giovinezza a Legnano al campo di prigionia in Germania

La storia di Adriano Pasquetto, sottotenente della sussistenza dell’esercito, è quella di migliaia di italiani travolti dagli eventi nella seconda guerra mondiale. Nato a Milano da una famiglia originaria di Legnano, trascorse l’infanzia e la giovinezza nella città del Carroccio; qui veniva tutti i fine settimana e sfollò la famiglia nel periodo bellico. Dopo essersi diplomato ragioniere, si iscrisse all’università, facoltà di Economia e commercio. Poi la guerra cambiò tutto. Pasquetto fu arruolato e inviato in Albania, ma dopo l’armistizio finì in un campo di prigionia, prima a Leopoli e poi a Wietzendorf. «Essendo un ufficiale – racconta la sua unica figlia – gli è stato chiesto di aderire alla RSI, ogni giorno, per due anni. Dall’Italia arrivavano personaggi come il legnanese Carlo Borsani a fare propaganda in questo senso. Nei campi c’era una cassetta dove bastava infilare un biglietto di carta con nome e cognome e scritto “aderisco” per entrare nell’esercito repubblicano o nella Wehrmacht e lasciare il campo. Mio papà poteva dire “non ce la faccio più, chi se ne frega”. Invece non l’ha mai fatto, nonostante le condizioni sempre peggiori».

Ad Amburgo, nelle fabbriche dove si costruivano le V2

Renata sottolinea come «abituata a non prendere decisioni, in quanto gli si diceva sempre che cosa fare, quella generazione si è trovata a prendere una scelta oltremodo coraggiosa. Per non morire intellettualmente, mio padre mi ha raccontato che nelle baracche si studiava con i pochi libri racimolati e si tenevano lezioni. Poi, nel gennaio 1945, fu trasferito ad Amburgo, a lavorare nella fabbrica dove costruivano i missili V2. Si sono messi d’accordo, lui e gli altri ufficiali alla catena di montaggio, per boicottare la produzione. Mio papà era al tornio finale, se un pezzo era perfetto lo difettava, se era rovinato lo dava per buono». Dopo la guerra, tornò a Milano ma rimase sempre legato a Legnano, dove conobbe la sua futura moglie e si sposò, venendo a viverci. Dopo aver lavorato con il padre in una litografia, si iscrisse all’albo dei commercialisti. «Ha scelto di lottare per l’onore della sua patria – conclude Renata – ma non a fianco dei nazifascisti. Questo mi sembra molto importante, e meritevole di un riconoscimento come tutti coloro che fecero la stessa scelta».

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