VISTO&RIVISTO Quando le scelte sbagliate cambiano la vita per sempre

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di Andrea Minchella

VISTO

COCAINE – La vera storia di White Boy Rick, di Yann Demange (White Boy Rick, Stati Uniti 2018, 111 min.).

La mancanza assoluta di retorica, anche quella che a volte serve per confezionare un prodotto più lineare ed avvincente, sembra essere il filo conduttore di questo piccolo film ma sufficientemente intenso. Il regista, un quarantenne parigino al suo secondo lungometraggio, decide di raccontare una storia poco patinata e hollywoodiana, in cui la realtà, a volte cruda e devastante, non fa sconti a nessuno, nemmeno ad un ragazzo di 15 anni, Rick, che, per poter sopravvivere in una degradata periferia di Detroit degli anni ottanta, vivacchia tra piccoli reati e cattive compagnie.

Quando però l’FBI gli chiede di collaborare su qualche traffico illecito della zona, Rick si troverà costretto ad accettare per salvare da guai peggiori il padre, un poco penetrante ma pur sempre convincente Mattew McConaughey. Richard Wershe Jr, realmente esistito e spunto per questo racconto molto intimista e fortemente realistico, diventa così il più giovane informatore degli Stati Uniti. La sua figura, però, rimane lontana da informatori o infiltrati che il cinema ha già raccontato, spesso fornendo loro caratteristiche e descrizioni degne di un divo o di un super eroe.

Qui il protagonista, presto abbandonato dall’FBI, assume le sembianza di un ragazzo troppo giovane per vivere in un mondo terribile fatto di traffici, miseria e illegalità: Rick, appena svincolato dal rapporto con i federali, decide di dare un’occasione alla sua famiglia, dove comunque un briciolo di umanità sembra essere rimasta. E così decide di trafficare droga nel suo quartiere con il placet del padre, anche lui disperato e privo di un minimo sostegno economico. Il ragazzo però non aveva fatto i conti con l’America di Regan e con le severissime leggi del Michigan. Verrà infatti arrestato e condannato all’ergastolo per aver trafficato 8 chili di cocaina. Solo nel 2017, dopo trent’anni di carcere, riuscirà, non essendo imputato di reati violenti, a beneficiare della semilibertà.

Interessante, dunque, la riflessione a cui Demange ci costringe: scegliere strade alternative a quella che l’umanità si è imposta per vivere è sempre pericoloso e poco producente. Il rischio più alto è dover pagare in maniera smisurata una colpa che semplicemente nasce in un contesto devastante e opprimente come era, ad esempio, quello degli Stati Uniti degli anni ottanta, che ha messo in campo anche leggi estremamente severe per cercare di combattere una guerra, quella con il narco traffico, che sembrava sin da subito quasi impossibile da vincere.

Film poco distribuito in Italia, vale la pena cercare una sala coraggiosa che decide di proiettarlo per andare a vedere un film americano ma con un registro europeo che ci fornisce un’originale ed interessante punto di vista.

RIVISTO

BLOW, di Ted Demme (Stati Uniti 2001, 124 min.).

Quando nel 2001 le platee di tutto il mondo assistettero all’ingresso del Pablo Escobar più convincente e temibile del cinema, ci fu un sobbalzo generale che consacrò questo piccolo capolavoro il film più adrenalinico e dopato della storia del cinema. Il film, infatti, si regge su una ritmica e su una narrazione che tiene lo spettatore ad un battito cardiaco quasi raddoppiato rispetto al ritmo normale.

Johnny Depp e Penelope Cruz diventano nel giro di poco la coppia bella dannata più iconografica del cinema contemporaneo. Il bravissimo Ted Demme riesce a fornirci un perfetto ritratto di uno dei trafficanti americani più influenti degli anni settanta, George Jung. Giustamente lontano da giudizi morali, il film attira in maniera viscerale e quasi subdola lo spettatore che inevitabilmente desidererà riconoscersi nel cattivo, nello spacciatore, nel bello e dannato che importa negli Stati Uniti quasi l’ottanta per cento della cocaina totale consumata nei cinquanta stati.

Uno dei pochi film riusciti di Johnny Depp, “Blow” cambia la modalità di raccontare una storia, aggiungendo all’importanza delle immagini, il simbiotico legame con la musica, con la colonna sonora, che dà vita ad una sorta di videoclip cinematografico mai retorico o appesantito.

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