Gallarate, esposto contro l’ospedale dopo suicidio. Chiesta l’archiviazione

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GALLARATE – Suicida dal quinto piano del Sant’Antonio Abate di Gallarate: chiesta l’archiviazione per la denuncia presentata dai famigliari nei confronti dell’ospedale. La vicenda è complicata. Il 22 gennaio del 2019 Catello Di Martino, 30 anni residente a Gallarate, si era tolto la vita buttandosi dal quinto piano della struttura sanitaria. I famigliari, che per questo oggi sono a processo, alla notizia reagirono sfasciando il Pronto Soccorso. Furono denunciati per una lunga serie di reati che spaziano dalla resistenza a pubblico ufficiale, all’interruzione di pubblico servizio, per arrivare al danneggiamento e alle lesioni personali.

Chiesta l’archiviazione

Gli stessi famigliari, assistiti dall’avvocato Corrado Viazzo, presentarono un esposto. Il pubblico ministero Massimo De Filippo aprì un fascicolo contro ignoti per omicidio corposo. Il pm al termine dell’inchiesta ha ora chiesto l’archiviaziane. «Una richiesta alla quale ci opporremo – commenta il legale – In sintesi si sostiene che è un responsabilità civile e non penale. Colpa dell’organizzazione ma non dei singoli. La domanda è: come è possibile che qualcuno possa raggiungere il quinto piano di un ospedale, accedere al tetto e suicidarsi buttandosi nel vuoto senza che vi sia alcun controllo? Senza che l’accesso al tetto sia bloccato. A quanto pare la porta era rotta e non era mai stata riparata. Ricordo che in un ospedale c’è anche un reparto psichiatrico. Non è concepibile che una persona con problemi di questa natura possa con facilità raggiungere un luogo ideale per togliersi la vita».

Ci opporremo alla richiesta

Il legale ricostruisce l’accaduto. «Catello si era già rivolto al Pronto Soccorso anche nei due giorni precedenti la tragedia – spiega Viazzo – Quella mattina fu la madre, prima delle 7, a chiamare l’ambulanza perché il figlio stava male. E’ stato lasciato in attesa sino alle 14 quando ha raggiunto il quinto piano dell’ospedale gettandosi nel vuoto. Abbiamo raccolto una lunga serie di studi medici che attestano come, pazienti affetti da schizofrenia in quelle condizioni, possono tentare di togliersi la vita gettandosi da grandi altezze. Il nostro perito ha avuto mandato di stabilire se, sottoposto alle immediate cure del caso, un paziente con una patologia precisa acclarata come in questo caso, possa essere calmato in modo da non tentare atti di autolesionismo». La conclusione per il legale è chiara: «Se fosse stato immediatamente curato con trattamento farmacologico Catello sarebbe ancora vivo». I famigliari avevano riassunto in modo dolorosissimo la vicenda: «Si è suicidato nell’ospedale dove avrebbero dovuto curarlo. E’ come morire di fame al ristorante». Di qui la decisione di opporsi alla richiesta di archiviazione. 

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