Busto, Croce rossa in prima linea contro il Covid: è come essere in guerra

busto croce rossa covid coronavirus

BUSTO ARSIZIO – Non hanno più un sorriso per le persone che devono soccorrere. E neppure un volto. Cancellati da mascherine, occhiali e visiere di protezione. Hanno solo occhi, ovvero l’unica parte del corpo che, seppur protetta, è possibile vedere. E con quelli, prima ancora che con la bocca, devono “parlare”, sorridere, comunicare, rassicurare chi stanno aiutando. La vita operativa dei dipendenti e dei volontari della Croce Rossa è stata travolta e trasformata dall’emergenza coronavirus. Nulla è più come prima, nemmeno i gesti più semplici e spontanei come la comunicazione tra le persone.

Tutto è cambiato in fretta. E altrettanto in fretta ci si è dovuti abituare. «Ormai ogni servizio che effettuiamo è un “sospetto Covid” – spiega la presidente del comitato di Busto Simona Sangalli – Anche quando interveniamo per una caduta in casa o per un incidente adottiamo sempre le misure di precauzione previste dai protocolli, poiché le squadre non possono sapere in quale scenario si troveranno a operare».

La prima linea

Se i reparti Covid, Infettivi e di Rianimazione degli ospedali sono la trincea dentro la quale si combatte il virus, quella su cui si muovono gli operatori della Croce rossa è la primissima linea. Quella più scoperta, dove il nemico invisibile si muove. Anzi, se si dovesse ragionare in termini di guerra, si potrebbe parlare di “terra nemica”. Sono infatti loro, gli uomini e le donne della Cri, i primi a entrare in contatto con i soggetti positivi. Sono loro che si bardano, salgono sull’ambulanza, vanno a recuperare la persona bisognosa e la portano all’ospedale. Sono loro che si muovono in un vasto campo minato. Sulle strade e anche nelle abitazioni della gente comune, in genere luoghi di protezione che, in questa assurda situazione, possono anche essere posti di possibile contaminazione.

«È diventato impossibile prevedere su quale scenario si va a intervenire. Non lo si può nemmeno immaginare. Certo, arrivano chiamate dalla centrale in cui avvertono la presenza di casi positivi. Ma vi sono altre moltissime situazioni dove non si ha e non si può avere alcuna certezza. Poiché ci sono anche gli asintomatici, che non manifestano sintomi ma possono essere potenzialmente “pericolosi”». Per questo un normale intervento di routine diventa un’uscita straordinaria.

Vestizione, svestizione e sanificazione

Insomma, per ogni uscita la squadra di pronto intervento si deve bardare con tutti i dispositivi di protezione individuale: tute, copri calzari guanti, cappuccio, mascherina, occhiali e visiera. Operazione non semplice se c’è da rispondere a un’urgenza, o, come capitato nei giorni scorsi, a un’urgenza dietro l’altra. «Anche perché al rientro della squadra, gli indumenti protettivi vanno tolti e buttati, l’ambulanza utilizzata deve essere sanificata: i tempi si sono un po’ allungati. O meglio, diciamo che si accorciati, a volte azzerati, i momenti per recuperare un po’ le forze». Ci sono stati, infatti, giorni terribili in cui le chiamate si susseguivano senza quasi interruzione di sorta. «Ma i nostri dipendenti e volontari non si sono mai tirati indietro».

busto croce rossa covid coronavirus

Protezione per se stessi e per le persone

Quella del soccorritore è davvero diventata una vita militare. In servizio con l’ambulanza, ma anche in sede nei pochi momenti di respiro. Tutto è stato riorganizzato. Il Covid ha cambiato le abitudini, compresi i momenti più sereni: rispetto delle distanze, divieti di stare in troppi nella sala tv ad esempio, ma anche attorno a un tavolo per una pausa caffè. E poi sempre mascherina sul volto e guanti indossati.

«Ci siamo dati regole rigide. È l’unico modo che abbiamo per tutelare noi stessi e le persone che andiamo a soccorrere. Ma anche i famigliari. Poiché nessuno del personale operativo si è tirato indietro nel momento del bisogno. Tutti hanno dovuto imparare a convivere con la preoccupazione di non venire contagiati. Paura non per se stessi, bensì per i propri famigliari. I soccorritori operano a strettissimo contatto con il virus, anche senza saperlo, poi però a fine turno tornano a casa da genitori, mogli, mariti e figli. Che devono comunque tutelare».

Organizzazione militare

Regole rigide da rispettare, e tutta una serie di situazioni da programmare. I turni, che si sono allungati e sono stati rimodulati per dosare e impiegare al meglio tutte le forze e il personale a disposizione; la ricerca del materiale di protezione. Che soprattutto all’inizio si faceva fatica a reperire in quantità necessarie e ora deve essere continuamente ordinato e riassortito per evitare di restare senza. Insomma ,dietro a un’ambulanza in sirena c’è un meccanismo complesso da far funzionare in sincrono. «Siamo un po’ come un’amministrazione comunale – spiega la presidente – che deve gestire la vita amministrativi di una città. Ecco, con il mio staff ci occupiamo di tutto questo e di mettere nelle migliore condizione di operare i nostri dipendenti e volontari, che corrono da una parte all’altra di Busto e dell’intera Valle Olona».

Poiché non c’è solo l’emergenza Covid da fronteggiare. Anche una serie di servizi (legati alla crisi) da garantire come il Pronto spesa e il Pronto farmaci. Oltre a quella che, nell’epoca antecedente al coronavirus, era la “normale” attività di soccorso; ora è diventata straordinaria, proprio come l’impegno e la dedizione che ogni operatore di Croce rossa ci mette per compiere il proprio dovere.

busto croce rossa covid coronavirus

busto croce rossa covid-19 guerra – MALPENSA24