Così è cambiata la politica in provincia di Varese

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Fece scalpore qualche anno fa l’affermazione di un monsignore di queste parti che, dal pulpito, disse più o meno: “Meglio un politico ladro ma competente, che uno onesto e incapace”. Provocazione che si presta a diverse interpretazioni, peraltro soggettive rispetto a un problema, quello della pochezza della classe dirigente, che si avverte ogni giorno di più anche nella nostra provincia. A un anno esatto dallo tsunami dell’inchiesta Mensa dei poveri c’è da domandarsi quanto manchino alla politica locale alcuni componenti del folto gruppo di arrestati o inquisiti per corruzione e per tutto l’armamentario di accuse che grava sul loro groppone. Politici che la magistratura milanese ritiene appunto disonesti. E, come tali, se mai fossero confermati i sospetti, indegni di ricoprire cariche pubbliche. Come dar torto ai pubblici ministeri? La risposta è scontata: non si può smentirli, quanto meno fino a una sentenza emessa da un tribunale.

Eppure ci sono assenze che in modo oggettivo, senza la pretesa o, peggio, la presunzione di sostituirci ai giudici, si fanno sentire in modo sostanziale nella vita amministrativa e politica locale, oggi, senza voler generalizzare, nelle mani delle seconde o, peggio, delle terze file dei partiti o di quel che ne rimane. La provincia di Varese è orfana di vere leadership, che forse resistono ancora nella Lega, benché restino, per inespresse ragioni, sottocoperta e non esercitino in modo visibile autorevolezza e autorità, intervenendo laddove ce ne fosse bisogno.

Che ce ne sia bisogno un po’dappertutto, anche nelle maggiori città, è evidente nelle decisioni e, spesso, nelle indeterminatezze e contraddizioni di sindaci, assessori, segretari di sezione, capataz  e capetti senza arte né parte né storia, che scorazzano nei corridoi dei municipi e degli enti pubblici. Amministratori che in altre epoche sarebbero stati relegati a compiti di risulta e che, invece ora, dominano la scena. Questo per dire che lo sconvolgimento provocato da Mensa dei poveri ha ulteriormente debilitato il panorama politico varesino, che già non brillava di suo, ma perlomeno riservava qualche presa di posizione risolutiva rispetto ai diversi problemi.

La nostra è soltanto una constatazione: non stiamo sostenendo, con la solita frase fatta, che si stava meglio quando si stava peggio, ma di sicuro c’era qualche certezza in più. Purtroppo anche certezze messe in luce dagli inquirenti, su un diffuso malaffare che aleggiava in molti settori della vita pubblica. E di questo, diciamolo a voce alta, non si sente affatto la mancanza.

Sono già trascorsi dodici mesi da quel 7 maggio che decapitò Forza Italia e depotenziò personaggi come Nino Caianiello, che fino a quel momento aveva tenuto in scacco, facendola ballare, buona parte del centrodestra, che a lui faceva riferimento al di là delle casacche. Sfidiamo chiunque a disconoscere il suo potere di allora, persino in ambiti del centrosinistra, che col Mullah dialogavano fitto fitto per spartirsi le poltrone. Abitudine che, questa sì, è rimasta viva. Come rimaste irrisolte sono le questioni che si rincorrono fin d’allora e che l’emergenza coronavirus ha aggravato, rinviandole chissà a quando. A maggior ragione senza che al momento si intraveda qualcuno capace di prendere per mano la politica di casa nostra per trarla fuori dalla palude, operativa e culturale, in cui sta lentamente affondando. Per colpa del sistema e di chi, fino a un anno fa, aiutato da coloro che per opportunità hanno lasciato fare, si credeva invincibile e ha contribuito a desertificare politicamente la provincia di Varese.

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